giovedì 11 maggio 2017
Ci perdonerà il grande Alberto Sordi, ma mai titolo di film fu più appropriato e calzante. Noi stiamo con Ferruccio de Bortoli, nel senso cioè di ritenere che il direttore sia persona troppo brava e scrupolosa, oltre che garbata e elegante, per scivolare in una sorta di gossip.
Difficile, infatti, credere che de Bortoli sia caduto nella tentazione di scrivere, oltretutto in un suo libro, uno dei tanti e semplici spifferi di corridoio. Dopodiché è altrettanto vero che, in assenza di smentite secche e incontrovertibili da parte della fonte (Federico Ghizzoni, ex amministratore delegato di Unicredit), la partita resterà appesa al dubbio. Oltretutto la reazione della sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi, lascia intendere non solo la sicurezza di se stessi, ma che, in mancanza di conferme su de Bortoli, il principio “testis unus, testis nullus” è sempre valido.
Insomma, siamo di fronte a uno dei tanti casi che in Italia hanno spinto e spingono la gente ad avere sempre meno fiducia nella politica e nella classe dirigente. Qui non si tratta di gettare benzina sul fuoco e nemmeno di aizzare le persone, ma di chiedere una volta per tutte, trasparenza e verità.
La trasparenza e la verità sono, infatti, le uniche condizioni senza le quali non c’è mozione di sfiducia o richiesta di dimissioni che tenga. Il problema dunque non è quello di estromettere questo o quel ministro, ma di avviare finalmente uno stile di governo che segni una cesura col passato. Da noi e da sempre, troppi casi del genere, infatti, hanno segnato le cronache parlamentari. Parola mia contro parola tua, talvolta carte bollate, polveroni mediatici e poi tutto nel grande magazzino del dimenticatoio.
Nella storia della nostra politica sono decenni che quel grande magazzino si è riempito all’inverosimile, lasciando tutti o nel dubbio, o spaccati nel giudizio, comunque sfiduciati verso la classe dirigente. Ecco perché servirebbe un nuovo progetto culturale del Paese che fosse in grado di allevare e crescere una diversa rappresentanza parlamentare e non solo.
Senza una chiara base pedagogica che instilli un diverso significato del potere, del bene collettivo, del senso dello Stato e della gestione delle risorse comuni, nulla cambierà e nulla si risolverà. Ecco perché da noi potranno alternarsi maggioranze e governi, ma senza i risultati che servirebbero. Del resto un progetto culturale di sistema, di Paese, richiede non solo anni per arrivare a compimento, ma una spinta iniziale di grande coraggio e volontà. Oggi più che mai questa spinta viene dalla gente, dai cittadini, dalle persone comuni che protestano contro l’utilizzo proprietario della sovranità delegata. Eppure, e qui sta tutto il nodo gattopardesco, il potere che conta e che gestisce anziché cogliere e capire questa spinta la stigmatizza come populismo. Ecco il perché di una frattura sempre più grande e pericolosa fra politica ed elettori, fra classe dirigente e cittadini.
Siamo, insomma, un Paese sfiduciato, diviso, contrapposto e un Paese così non va da nessuna parte e purtroppo si vede e si sente. Perciò, indipendentemente da quest’ultimo singolare e poco chiaro episodio fra de Bortoli e la Boschi, serve un radicale e veloce cambiamento. Del resto la storia insegna che quando per troppo tempo si è voluto far finta e tirato la corda la rottura sociale è stata netta, conseguente, spesso definitiva.
di E. Rossi e A. Mosca