25 aprile, i partigiani di ieri e l’Anpi di oggi

giovedì 27 aprile 2017


Una specie di pulizia etnico-politica. In Istria e Dalmazia, con oltre 100mila uccisi e buttati nelle foibe e 300mila deportati ed espropriati dei beni mobili e immobili. Nel triangolo della morte, tra Reggio Emilia e Ferrara, 10mila morti ammazzati. Poi ci sono casi come quello dell’ex direttore del carcere di Regina Coeli, persona descritta come mitissima, il contrario di un torturatore da linciare e annegare nel Tevere perché non rivelasse chi erano i fascisti torturatori al suo interno passati con i partigiani comunisti dopo il 25 aprile. Episodi rimossi, tranne che nei libri del “revisionista” Giampaolo Pansa. Come sono state rimosse le stragi di preti, centinaia, in tutta la Val Padana, o le uccisioni (precedute dagli stupri) di almeno 500 ausiliarie della Repubblica di Salò. Assassinii di gente inerme. Uccisioni eseguite a sangue freddo, qualcuna per vendetta, molte per instaurare il nuovo ordine comunista in Italia.

La resistenza dei partigiani comunisti è stata soprattutto questo. Alla fine quella quota di partigiani comunisti che si macchiarono di queste stragi non potendo negare la verità e bollare come “revisionismo” tutto ciò che non collimava con le loro vulgate, si difesero pure parlando di “vendette” tipiche di un clima da guerra civile. Ma non era vero neanche questo: semplicemente, i partigiani comunisti stavano cercando di uccidere le persone migliori del Paese, niente affatto compromesse con il nazifascismo, in previsione della presa del potere in Italia. Cosa che fu evitata solo dagli accordi di Yalta, che poi gli stessi Stalin e Togliatti fecero osservare scrupolosamente, anche a quei compagni che volevano continuare la lotta armata. E, a ogni buon conto, Palmiro Togliatti, che era il Guardasigilli, fece varare un’amnistia mirata per gli omicidi commessi dai partigiani.

Nel quadro di questi omicidi a sangue freddo (non molto dissimili da quelli che poi negli anni Settanta avrebbero cominciato a fare i brigatisti rossi, che proprio alla guerra partigiana si richiamavano), oltre a crimini infami ma tutto sommato “politici”, come l’assassinio a sangue freddo in un giardinetto sull’Arno del filosofo Giovanni Gentile, o lo stesso sterminio della Brigata partigiana Osoppo (tra i trucidati il fratello maggiore di Pier Paolo Pasolini, che mai perdonò a Togliatti e all’establishment del Partito comunista italiano i silenzi su quel crimine), ci sono state le stragi di sacerdoti. E soprattutto, spesso precedute da stupri di massa, le uccisioni di un numero impressionante di donne. A cominciare, come detto, dalle ausiliarie della Repubblica di Salò. Donne indifese che provvedevano a curare i feriti o a lavori di complemento, ma di certo non soldatesse. Le uccisero e per anni le chiamarono “puttane” anche nei libri di storia. E solo di recente alcune associazioni di sopravvissute e di parenti di quelle donne uccise hanno costituito un vero e proprio database che ricorda e in parte racconta anche il loro martirio.

Vale la pena qui di riportare un incipit dell’ultima lettera alla propria madre di una delle tante ausiliarie trucidate (200 come minimo prima della fine della guerra e altrettante nei due anni successivi) e che risale al 24 luglio 1944: “Mamma mia adorata, purtroppo è giunta la mia ultima ora. È stata decisa la mia fucilazione che sarà eseguita domani, 25 luglio. Sii calma e rassegnata a questa sorte che non è certo quella che avevo sognato. Non mi è neppure concesso di riabbracciarti ancora una volta. Questo è il mio unico, immenso dolore. Il mio pensiero sarà fino all’ultimo rivolto a te e a Mirko. Digli che compia sempre il suo dovere di soldato e che si ricordi sempre di me. Io il mio dovere non ho potuto compierlo e ho fatto soltanto sciocchezze, ma muoio per la nostra Causa e questo mi consola. È terribile pensare che domani non sarò più; ancora non mi riesce di capacitarmi. Non chiedo di essere vendicata, non ne vale la pena, ma vorrei che la mia morte servisse di esempio a tutti quelli che si fanno chiamare fascisti e che la nostra Causa non sanno che sacrificare parole...”.

Ecco, il 25 aprile dei comunisti è stato soprattutto questo. Oggi che i partigiani non esistono quasi più (meno di 5mila all’ultimo “censimento” del 2015 e meno della metà iscritti all’Anpi), i loro nipotini da centro sociale utilizzano la data e la ricorrenza per bruciare le bandiere di Israele e insultare quelli della Brigata partigiana ebraica. Perché allora stupirsi se i pochi reduci di Auschwitz e i componenti della comunità israelitica capitolina da tre anni si rifiutano di marciare con gente simile? Almeno a Roma...


di Rocco Schiavone