La giustizia che non ammette demagogia

giovedì 13 aprile 2017


Metti che un amico ti chieda di esprimere, in sintesi e con parole semplici, le ragioni della tua contrarietà a un disegno di legge di riforma di alcuni istituti definiti “sensibili” del sistema penale; ipotizza che tu raccolga l’invito e, semplificando, scriva 25 righe in cui cerchi di parlare di prescrizione e di effettività del diritto alla difesa; immagina, poi, che alle tue parole replichi direttamente, quasi risentita, la presidente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, onorevole Donatella Ferranti (nella foto), e che la risposta sia esattamente questa: “Tutta demagogia la riforma della prescrizione non incide in nulla mela caso in questione ..per chi viene assolto non vi sono le sospensioni anzi si recupera il tempo passato nel grado di giudizio ..la riforma prevede tempi certi per la chiusura delle indagini.. questo fatto che è di civiltà giuridica : certezza dei tempi e tempo sgridato per un giudizio di merito stranamente non interessa ...perché?”.

La citazione è testuale e comprende i refusi (scusabili) dovuti alla digitazione del testo. Parliamo, però, dei contenuti e del modo, cominciando dall’addebito di demagogia con il quale si vuole mettere all’indice una delle critiche più pungenti al progetto di riforma della prescrizione.

Io dico che la riforma serve soltanto a placare la piazza e produce esclusivamente l’effetto di allungare ulteriormente i tempi dei processi, creando delle vere e proprie sacche all’interno delle quali il tempo non decorre. Io dico che la riforma non accelera in alcun modo i processi, ma ne favorisce la stagnazione negli armadi del giudice delle impugnazioni e l’onorevole Ferranti, oltre a bollarmi di demagogia, che cosa risponde? Che non è vero? Che ho mentito? No: che per chi è assolto la prescrizione non è sospesa. Grazie, onorevole: avvertivo il disperato bisogno di sentirmelo dire. Ora, però, lo dica Lei alla “gente” - al demos, insomma - che non si è mai visto un assolto che invochi (o si avvalga) della prescrizione e che, a seguito di questa riforma, in questo Paese ci sarà una ragione in più per ritardare i giudizi, facendo uso della regola aurea secondo la quale non si deve fare oggi quello che può essere differito a domani.

Però - c’è sempre un però - secondo l’onorevole Ferranti la riforma prevede tempi certi per la chiusura delle indagini preliminari. Può essere; ci mancherebbe. Ma la riforma, onorevole presidente, prevede tempi certi per la celebrazione dei processi sì o no? Lo sa, onorevole presidente, che i Tribunali, già oggi soverchiati dal numero delle cause, mai sarebbero in grado di smaltire in tempi ragionevoli (la parola ragionevoli è del Costituente, non mia) i fascicoli scaricati dalle Procure? Lasciamo perdere, onorevole: continuando su questa strada, rischiamo soltanto una brutta figura. Parliamo, se crede, di come si sentono le persone che restano sotto processo per molti anni? Prendiamo in considerazione l’ipotesi che ben difficilmente è giusta una giustizia che arriva a grande distanza di tempo? Lo diciamo alla “gente” come ci si difende quando non si trovano più testimoni o documenti?

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione a distanza degli imputati detenuti, chiunque si rende conto della differenza che corre tra l’essere presenti in aula – e seguire direttamente il processo, vicino al difensore – e lo stare, magari da soli, in una saletta davanti a un monitor. Ma la cosa più sorprendente è la ragione della Vostra scelta: il contenimento della spesa dei trasferimenti. Sono certo che avrà la compiacenza – e la sincerità di ammettere – che il costo di questa innovazione, destinata a operare non prima di un anno, sarà superiore ai costi attuali e che, al pregiudizio per la difesa, di per sé intollerabile, si aggiungerà quello per le casse dello Stato. Ammesso, ovviamente, che riusciate a farlo.

Vede, onorevole presidente: io queste cose Gliele dico – confidando nella Sua indulgenza – perché è stata Lei a parlare di civiltà giuridica, non io. Io parlo soltanto di processo giusto, di diritti dell’accusato e chiedo di affrontare i problemi strutturali in modo serio e articolato. Non a colpi di fiducia e non sull’onda dell’emozione, ovvero, se preferisce, demagogicamente.

La demagogia, mi perdoni, è un problema Suo.


di Mauro Anetrini