sabato 25 marzo 2017
Promosso da Antigone, dalla Fondazione Giovanni Michelucci e con la presenza di architetti del ministero della Giustizia e dell’Ordine degli Architetti di Roma, si è tenuto mercoledì scorso presso l’Università di Roma Tre, il dibattito dal titolo: “Spazio della pena e architettura carceraria, il caso Nola dopo gli stati generali dell’esecuzione penale”, che ha fatto emergere le diverse posizioni degli intervenuti. Questo il teatro e questi gli attori in campo, che hanno messo in scena un autentico “dramma” carico di Pathos.
Ha portato il suo saluto e ha concluso i lavori il sottosegretario di Stato alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, probabilmente, spettatore incredulo di quanto è andato in scena. Ma veniamo alla narrazione. Dopo la flebile presentazione del progetto fatta dall’architetto Luca Zevi, già coordinatore del Tavolo tecnico n. 1 degli stati generali dell’esecuzione penale, dedicato proprio all’architettura penitenziaria, si è scatenata da parte degli altri oratori intervenuti una tempesta di critiche al progetto del nuovo carcere. La “chiave” del dramma, come in tutte le vere tragedie che si rispettino, è nel tradimento. Ma si cadrebbe in errore se si pensasse che l’infedeltà, per continuare nella metafora, sia stata consumata da una sola parte.
Per quanto si è capito, tra il coro delle critiche da un lato e i primi attori dall’altro, è emersa la figura del progettista del nuovo carcere come l’unico vero “traditore” ufficiale degli indirizzi elaborati dal tavolo tecnico. Si aggiunga che dall’ordalia è emersa anche la voce del rappresentate dell’Ordine degli architetti che ha giustamente lamentato un ulteriore tradimento dovuto alla scelta dell’amministrazione penitenziaria, la quale, invece di bandire un concorso di idee progettuali, ha preferito una gara più sbrigativa, sostanzialmente basata su di un’offerta tecnica ed economica al ribasso.
Questa è la sceneggiatura di massima. Ma il problema, al di là della drammatica metafora teatrale, è che nel dibattito è emersa in tutta la sua evidenza, la manifesta contraddizione tra quanto scritto nella relazione del tavolo tecnico e quanto elaborato nel progetto del nuovo carcere di Nola che, essendo il primo prodotto dopo gli stati generali, sarebbe dovuto essere il “modello” a cui ispirarsi per le future ulteriori progettazioni. A quel punto il dilemma era svelato: o si difendevano le parole e i concetti rappresentati nella relazione degli stati generali o si difendeva il progetto che quelle parole e quei concetti tradiva palesemente. Attraverso varie argomentazioni, l’architetto Zevi, nonostante il ruolo che ha avuto e tuttora a quanto pare ha, è sembrato propendere per salvare l’indifendibile progetto, incomprensibilmente, contraddicendo i contenuti del lavoro portato avanti dall’apposita Commissione ministeriale da lui stesso coordinata!
Chi ha assistito all’evento ha vissuto una sorta di sofferto giudizio senza appello in cui alle parole non hanno corrisposto più i significati, agli scritti non hanno seguito in stretta conformità i progetti, alle attese non hanno derivato i fatti. Un genere di raffinata ipocrisia intellettuale volta a difendere i due lati contrapposti: da una parte la teoria, ampiamente ispiratasi alla bibliografia specializzata scritta da altri autori e, dall’altra parte, la prassi nella sua stanca consuetudine di riproporre moduli ormai obsoleti.
C’è di più, perché come in tutti i drammi ci sono anche tracce di opacità. L’Ordine che ha assistito al dibattito tra più contendenti avrebbe dovuto (e dovrebbe) risolvere talune questioni riguardanti prestazioni professionali svolte a titolo gratuito. Infatti, salvo smentite, sembrerebbe che importanti consulenze sarebbero state affidate da parte del Dap (suppongo anche in termini di controllo del complesso iter progettuale) “in materia di progettazione e realizzazione di interventi diretti alla revisione dell’esistente complesso immobiliare di edilizia penitenziaria conformemente ai risultati emersi dagli stati generali”. L’Ordine avrebbe dovuto prestare più attenzione per evitare così duri contrasti tra colleghi architetti. Sarebbe cosa buona e giusta da parte di chi vuole mantenere, appunto, ordine. Vano è il sperarlo, perché nò, magari anche dallo Stato?
In chiusura, pur ricordando le ottime buone intenzioni contenute nelle tematiche degli stati generali voluti dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e in particolare nei contenuti del Tavolo n. 1, c’è stato anche l’intervento della politica, nella figura del citato sottosegretario Ferri, che ha dovuto amaramente prendere atto che nel caso del progetto del carcere di Nola è venuto a mancare il rispetto delle linee guida e degli indirizzi fondamentali pronunciati più volte proprio dalla stessa politica e da essa fortemente attesi nella loro realizzazione. Dopo il Pathos dell’aspro confronto andato in scena, ora è tempo che intervenga il Logos, la ragione. Altrimenti, al di là delle parole e delle diverse interpretazioni, più di tutti soffriranno i milleduecento detenuti ammucchiati negli spazi ristretti previsti dal “nuovo” carcere di Nola.
Soffrirà la Polizia Penitenziaria e il personale tutto che con essi dovrà lavorare. Soffrirà un territorio fin troppo caricato da un’insopportabile concentrazione di popolazione detenuta. Forse una riflessione, anche se tardiva, sarebbe opportuna per evitare il proseguire in questi malintesi, magari operando con maggiore attenzione nel “merito”. Parola troppo abusata e poco praticata.
(*) Presidente Commissione nazionale Diritti delle persone private della libertà - Lidu Onlus
di Domenico Alessandro De Rossi (*)