lunedì 27 febbraio 2017
La vicenda che riguarda il Ponte sullo Stretto di Messina genera continuamente prese di posizione tra quanti sono convinti che il suo costo non è giustificato per una struttura solo ad uso turistico o a facilitare l’interscambio tra le due regioni limitrofe; e quanti, invece, la considerano un’opera essenziale per non essere isolati dal resto d'Italia e dell’Europa e, sul piano economico, per non essere tagliati fuori dalla grande realtà del traffico mercantile con container, da e verso l’Estremo Oriente, facilitati in questo dalla posizione geografica dell’Italia, collocata nel Mediterraneo, quasi di fronte al Canale di Suez, che ne fa una piattaforma logistica naturale.
Tra queste due posizioni sta lo scontro alimentato da una sinistra che ha visto sempre gli avversari come nemici dai quali stare alla larga e, possibilmente, da abbattere. La sinistra, infatti, dopo aver lavorato per la realizzazione del Ponte, ha incredibilmente cambiato parere. Ma questa, comunque, è una storia che pochi conoscono e che è sempre utile far conoscere.
La storia è lunga e travagliata ma basta soffermarsi su ciò che avvenne alla fine degli anni Novanta. Nel 1999 il Cipe (Comitato interministeriale programmazione economica) presieduto dall’allora premier Massimo D’Alema, decide di approfondire il problema e fa nominare due advisor (la Steinman Int. – Gruppo Parson) per valutare tutti gli aspetti tecnici, e una Ati (guidata dalla PricewaterhouseCoopers) per sistemare gli aspetti territoriali, ambientali, economici e finanziari sul progetto a campata unica che la società “Stretto di Messina” ha presentato. L’anno dopo, nel 2000, vengono consegnati i rapporti finali e viene riconosciuta la fattibilità economica, finanziaria, trasportistica e ambientale della grande infrastruttura, mentre i vari esponenti del centrosinistra proclamano il trionfo del progresso e dello sviluppo, e parlano di immediata apertura dei cantieri, ma perdono le elezioni (2001). Silvio Berlusconi che ha sposato il progetto che era della sinistra vi provvederà con la “Legge obiettivo” n. 443/01. Viene approvato il progetto nel 2003, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il bando di concorso internazionale nel 2004, e nel 2005 vince la gara l’Impregilo, assieme a Imprese americane, spagnole, giapponesi e danesi, ma...
Ma nel 2006 vince le elezioni Romano Prodi del centrosinistra e viene nominato ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi che, il giorno del giuramento, dichiara che “mai e poi mai il Ponte verrà realizzato”. Ma il Parlamento la pensa diversamente e boccia la proposta di alcuni deputati che chiedevano lo scioglimento della società “Stretto di Messina”. Due anni dopo, nel 2008, con la nuova vittoria di Berlusconi viene ripreso il progetto e si parte con la definizione delle opere propedeutiche come la variante di Cannitello (spostando la linea ferrata per consentire la costruzione di un pilone), e la definizione delle opere aggiuntive concordandole con gli enti locali al fine di amalgamare il Ponte col territorio.
Nel 2011, con il “colpo di Stato” ordito da Giorgio Napolitano e Gianfranco Fini, e appoggiato dalle banche tedesche, viene usato lo spread per far dimettere Berlusconi edal suo posto viene acclamato “il più tedesco degli italiani”, Mario Monti. Nel 2012, mentre professori, ingegneri, architetti delle varie università italiane sono a convegno a Reggio Calabria, arriva la notizia che Monti fa inserire, nella legge di bilancio, la fine dell’avventura Ponte. Le imprese aggiudicatarie dell’appalto per la costruzione della grande opera vengono, infatti, invitate a firmare l’accettazione di norme capestro che significavano rinunciare alle penali previste dall’appalto. Il “tedesco” Monti realizza, comunque, ciò che la cancelliera Angela Merkel gli aveva indicato “tra i compiti a casa”, in difesa dei porti del Nord Europa.
Il “General Contractor”, Eurolink, però, non poteva piegarsi alle norme capestro perché rischiava di essere chiamato al risarcimento dei danni dalle varie imprese. Ma per le scelte montiane protestarono diverse ambasciate straniere, in particolare quella spagnola. Nel 2013 Enrico Letta, subentrato a Monti, non si smuove dall’atteggiamento precedente e viene chiamato in giudizio dalle imprese scandalosamente estromesse dall’appalto, con richiesta di applicazione delle penali.
Nel 2014 subentra Matteo Renzi, terzo premier non eletto, che a parole è diverso dagli altri, ma nella sostanza non è dissimile. Infatti dichiara che il Ponte sullo Stretto di Messina va fatto, ma aggiunge che prima devono essere fatti tanti (ma tanti) altri lavori. Si appalesa come il migliore dei “benaltristi” perché illude quanti credono nel Ponte e non se la guasta con i “nopontisti”. Ma fa di più perché con la sua parlantina fluente riesce a tenere appesi molti dirigenti del movimento pro-Ponte (in pratica li disarma) con conseguente frattura con i cittadini, i disoccupati, i giovani (costretti a trasferirsi al Nord o all’estero).
Risulta quindi ridicolo che adesso costoro se la prendono per la mancata realizzazione del Ponte con Berlusconi mentre santificano la sinistra e, in particolare, il piccolo Napoleone di Rignano sull’Arno, dimenticando che poco più di due mesi fa, precisamente il 4 dicembre scorso, il popolo italiano gli ha mandato un “ciaone” netto e preciso.
Per la serie, delle chiacchiere non si sa cosa farne.
di Giovanni Alvaro