Se il vento soffia nella giusta direzione

venerdì 17 febbraio 2017


L’analisi dello scenario politico italiano, che propone Arturo Diaconale nell’editoriale di ieri, è corretta: c’è un concreto rischio di frantumazione del quadro politico a seguito dello “scioglimento dei poli”. Il direttore, tuttavia, si spinge oltre nell’ipotizzare una crisi che, originandosi da uno solo dei blocchi, si propaghi agli altri mediante un effetto a specchio. La conclusione del ragionamento segue un sillogismo: se l’aggregazione di un polo crea, per bilanciamento, una reazione uguale dall’altra parte del campo, e i poli hanno la medesima natura, ergo: lo scioglimento dell’uno produce liquefazione anche dall’altra parte.

La logica aristotelica è salva, ma non è detto che si traduca in realtà fattuale per l’incidenza di alcune significative variabili. A cominciare dall’accertamento di quanti siano i “poli”. Nella vulgata mediatica si dà per scontato che siano tre: il centrosinistra, il centrodestra e il Movimento Cinque Stelle. A riguardo insistiamo nel ritenere che questo schema sia errato: i grillini non rappresentano un polo autonomo. Mancano di quel radicamento storico-culturale-ideale che assicuri loro una chiara identificabilità. Sul punto non ci dilunghiamo, avendo già in altre occasioni discettato sulle caratteristiche idroponiche dell’organizzazione pentastellata. Valga ribadire che il grillismo avrà la sua ragion d’essere fino a che ci sarà da intercettare il cosiddetto voto “contro”, ma quando verrà il momento di confrontarsi sulla società futura i Cinque Stelle non saranno della partita perché non hanno nel Dna quella “pars costruens” complementare alla “pars destruens” di cui, al contrario, sono dotatissimi.

A riguardo dei due poli tradizionali vi è da osservare che la crisi del centrosinistra non è in alcun modo paragonabile a quella del centrodestra per la semplice ragione che la fusione ideologica, incarnata dal Partito Democratico, si è rivelata un amalgama non riuscito, a detta dei suoi stessi ideatori. Il socialismo occidentale, innervato alla fine dello scorso secolo dai cascami del comunismo in via di estinzione, agita il totem del dirigismo della mano pubblica per contenere la proliferazione dell’iniziativa economica privata e del mercato. Cioè l’esatto contrario del modello di società e di dinamiche nel rapporto capitale-lavoro propugnato dalle declinazioni del progressismo occidentale. Anche il terreno del solidarismo e dell’economia sociale di mercato che, in apparenza, potrebbe considerarsi comune, nella realtà viene interpretato in modo opposto dai due versanti: tendenzialmente egualitarista, grazie a una più larga redistribuzione sociale della ricchezza prodotta, favorevole a maggiore spesa pubblica sostenuta da un’iper-tassazione del profitto privato, il primo; fluido, meno sussidiato dallo Stato, moderatamente liberista, aperto a una maggiore mobilità dell’ascensore sociale, il secondo. L’avvento della globalizzazione immaginata come opportunità di elevare gli standard di vita per le tutte fasce di popolazione, li aveva convinti a stare insieme. Oggi la crisi di quel modello che ha fallito il principale obiettivo di creare benessere diffuso, li rende incompatibili. L’odio personale di Massimo D’Alema per Matteo Renzi, totalmente corrisposto dall’interessato, è solo la faccia mediatica di una contrapposizione ideologica non solvibile.

Per il centrodestra, invece, il futuro potrebbe non essere altrettanto complicato. Il punto di apparente incompatibilità tra la componente riformista-liberale e quella sovranista si focalizza sul giudizio che le parti danno della vicenda europea e del futuro dell’Unione, in particolare dell’Euro. Se gli uni temono che l’uscita dalla moneta unica sia un salto mortale nel vuoto, gli altri sostengono che ritornare alla piena sovranità monetaria sia la strada per la salvezza. Chi ha ragione? Non importa saperlo. Tuttavia, se questo è il vicolo cieco in cui ci si sta cacciando è facile intuirne l’esito: si va a sbattere. Perché non provare a ribaltare il ragionamento? Piuttosto che impiccarsi alla querelle “Euro sì-Euro no”, si vada a monte del problema: la riscrittura totale e innovativa della “mission” europea attraverso la riforma radicale dei trattati di Maastricht. Agli italiani non basta sapere cosa sarà del proprio Paese nel prossimo futuro. Essi vogliono conoscere quale Europa ci sarà domani nelle loro vite: quella che penalizza le produzioni locali mentre impone norme asfittiche e regolamenti oppressivi alle comunità produttive o quella dei grandi ideali di libertà e di democrazia di Schuman, Adenauer e De Gasperi? Una risposta in tal senso unitaria, articolata e convincente farà volare il centrodestra oltre la soglia del 40 per cento. Garantito!


di Cristofaro Sola