sabato 28 gennaio 2017
È arrivata la sospirata sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum. Che, oltre ad abolire il ballottaggio, ci rivela, ancora una volta, quanto risulti difficile per la nostra classe politica scrivere una legge elettorale in coerenza con la Costituzione, secondo “elementari” criteri di democraticità.
Era già successo con il Porcellum, con l’aggravante che quest’ultimo è stato utilizzato due volte per la scelta dei nostri rappresentati.
Insomma, un certo grado di incompetenza si nota. E, purtroppo, non solo in questo ambito legislativo.
“Errare humanum est”, si dice giustamente. Ma qui sembra esserci del diabolico.
Scrivendolo nero su bianco, la Corte ha inoltre stabilito che la legge, così “emendata”, è direttamente applicabile. Quasi ad ammonire la politica all’immobilità, al fine di non combinare altri strafalcioni.
È vero che, nelle condizioni date, fare una legge elettorale condivisa non era semplice. Ma l’attesa della sentenza ha fatto il paio con il silenzio totale dei partiti I quali hanno abdicato al loro ruolo di proposta, facendoci “subire” una decisione giudiziale che si trasformerà in “politica”. Ad eccezione solo dei Radicali Italiani, da sempre schierati per una legge elettorale maggioritaria uninominale a turno unico, sul modello della Gran Bretagna. E, pur se poco ascoltati, ne spiegano il perché, aprendo canali di dialogo con tutti. Ricordando, imperterriti, la storia di questo Paese in “chiave legge elettorale”. Essi non dicono di avere la “verità” rivelata, ma affermano con forza di avere un’idea da proporre.
Per come sono andate e cose, nessun partito potrà rivendicare la paternità “dell’atto” come centro di imputazione di responsabilità nei confronti dei cittadini.
La politica ha aspettato, dando ancora una volta segni di “passività calcolata”. Di comodo, perché oltre all’impossibilità (vera o presunta), appare la convenienza per lo stallo, risolto poi da altri.
Eppure, dalle caratteristiche della legge elettorale si determinano dinamiche fondamentali di sana partecipazione, e si costruisce parte importante del rapporto tra stato e società. Essa deve servire certamente a consentire la famosa stabilità, ma anche a garantire alle persone la miglior scelta possibile di chi andrà a ricoprire il ruolo di rappresentanza; di maggioranza o opposizione che sia.
La “discussione”, tutta interna a partiti e segreterie, ha marginalizzato il cittadino, dando nuovi e conosciuti segnali di autoreferenzialità. Neanche dal “nazional-ribellista” Cinque Stelle è arrivata alcuna proposta, essendo fondamentale per loro l’andare a votare, per capitalizzare una (presunta) situazione favorevole. Eppure, anche solo un’analisi storica di ciò che abbiamo avuto, al fine di ricercare soluzioni migliori, andava posta. Perché, fermandoci al Porcellum, è sotto gli occhi di tutti che una legge del genere ha rafforzato più i vincoli di fedeltà dell’eletto verso il partito, piuttosto che quelli verso gli elettori. Per cui il sondaggio riportato da Radicali Italiani, secondo il quale tra coloro che si interessano di politica i nostri 900 rappresentanti sono praticamente quasi tutti sconosciuti, è una cartina di tornasole sull’effettivo rapporto tra eletti e cittadinanza. Rapporto in cui, evidentemente, incide anche la legge elettorale. Tralasciando ora le non secondarie conseguenze che l’appartenenza (e la fedeltà) politica ad un “capo” produce, rispetto alla virtuosa competenza.
All’indomani della sentenza, il discorso, come prevedibile, è già andato oltre. Si parla di quale giorno sia utile (a chi?) per votare. Si fanno ipotesi di alleanze. Si cuciono scenari da post-voto.
Rendere marginale il dibattito sulla legge elettorale è stato un altro grande errore politico. Perché i partiti hanno ancora una volta prestato il fianco a critiche di autoconservazione, o di convenienze da piccolo cabotaggio pro domo propria.
Sulle “macro” questioni relative alla legge elettorale ci si è divisi sempre tra “proporzionalisti” e “uninominalisti” (volendo qui non entrare in dispute tecniche dove poter collocare sistemi misti). E il dibattito si sviluppava seguendo linee di discussione che analizzavano quanto un sistema, rispetto ad un altro, fosse più rappresentativo, più democratico, più trasparente, più efficace, più efficiente, più liberale, più rispettoso del cittadino elettore, più adatto al contesto rispetto al vissuto di un Paese, più capace di essere un mezzo contro la partitocrazia burocrativa e più adatto al continuo rinnovamento della classe dirigente. Nulla di tutto ciò è, invece, avvenuto.
Sembra che si debba sempre arrivare a configurare una legge elettorale ritagliata solo in relazione ai risultati prevedibili sulla scorta di sondaggi sulle intenzioni di voto in un dato momento. Ai tempi del Porcellum lo si fece con un grande attivismo legislativo da parte della maggioranza di allora. Oggi, con l’immobilità di tutti.
di Raffaele Tedesco