La Lega di Salvini in fuga dalla realtà

giovedì 22 dicembre 2016


Ospite di Dietlinde Gruber detta Lilli, Matteo Salvini ha rilanciato con forza la sua forsennata battaglia democratica per portare l’Italia fuori dall’Euro.

Continuando a ripetere come un mantra che la moneta unica europea è una moneta sbagliata, il leader della Lega Nord, oramai divenuta una formazione nazional-lepenista, mostra di usare con una certa abilità, a sostegno della sua tesi, due argomenti sempre molto presenti nelle conversazioni all’ingrosso di molti bar dello sport d’Italia: il nemico esterno, in questo caso l’Europa matrigna, quale capro espiatorio dei nostri mali e il vecchio arnese della cosiddetta svalutazione competitiva per rilanciare la sempre più dissestata economia italica.

Tutto questo si lega, inoltre, ad una diffusa ignoranza economico-finanziaria, la quale porta milioni di ingenui e di sprovveduti a confondere la ricchezza reale, composta essenzialmente da beni e servizi che qualcuno è disposto liberamente a scambiare, con la stampa di cartamoneta. Sotto questo profilo Salvini, al pari di altri improvvisati economisti a Cinque Stelle, ha buon gioco nel proporre una scorciatoia apparentemente priva di controindicazioni. Basta riprendersi la tanto agognata sovranità monetaria e il giochino è fatto. D’incanto l’Italietta funestata da decenni di assistenzialismo, finanziato con una fiscalità folle ed un crescente indebitamento pubblico, risolverà i suoi problemi di bilancio, invadendo i mercati di mezzo mondo con i suoi prodotti venduti a prezzo di saldo.

Ovviamente si tratta di una pericolosissima illusione, destinata a sciogliersi come neve al sole non appena si dovesse annunciare un nostro ritorno ai fasti della lira. I mercati, ossia chi oggi ci rinnova il citato debito ad un tasso infimo, darebbero per scontata una forte propensione a monetizzare lo stesso debito da parte delle autorità italiane, provocando in tal modo il crollo repentino della “nuova” moneta e l’esplosione del famigerato spread. Ma non basta. Dopo aver vissuto molti anni sotto l’ombrello di una valuta stabile e da forte potere acquisitivo, gli italiani dovranno tornare a fare i conti con la cosiddetta inflazione importata, pagando soprattutto l’energia, i carburanti ed i beni ad alta tecnologia provenienti dall’estero un occhio della testa.

Per quanto riguarda poi il mito salviniano della svalutazione competitiva, la realtà odierna sembra contrastare con i desiderata del capo leghista. Se infatti consideriamo che attualmente circa il 60 per cento dei semi-lavorati destinati ai beni da esportare da parte delle aziende italiane provengono da altri Paesi, risulta evidente che la svalutazione del cambio, rendendo assai più costosi tali prodotti, annullerebbe di fatto un eventuale guadagno di competitività.

Competitività, caro Matteo Salvini, che in un sistema post-industriale avanzato si realizza innanzitutto abbattendo i costi che lo Stato nel suo complesso esercita nei riguardi del mondo produttivo. Ciò consentirebbe di liberare enormi risorse per la ricerca e per i sempre più asfittici investimenti, pubblici o privati che siano. Si tratta, quest’ultima, evidentemente, di una linea non molto popolare, soprattutto al bar dello sport; tuttavia essa è l’unica in grado di farci uscire dalle secche di una endemica stagnazione le cui cause principali sono tutte interne.

D’altro canto, ribadendo in conclusione un concetto più volte espresso, proporsi alla guida di un’eventuale rinnovata coalizione di centrodestra dovrebbe implicare proposte di governo praticabili, principalmente dal lato economico-finanziario. L’attuale modello venezuelano, con la gente quasi costretta a mangiare banconote iper-svalutate a pranzo ed a cena, non può essere una soluzione accettabile per l’Italia.


di Claudio Romiti