“Post-verità” costituzionali

domenica 18 dicembre 2016


Paolo Gentiloni ha reso nota la sua lista dei ministri. E, come era ovvio, non sono mancate le critiche; le quali spaziano dal “Governo debole” al “Governo renziano per interposta persona”, tralasciando quelle più tranchant.

Ma un conto sono le critiche sulla “fattezza” del Governo, altro conto sono quelle legate ad una sua presunta illegittimità. Si sente spesso, ed altrettanto spesso lo si legge, che siamo di fronte al quarto Governo non eletto dai cittadini. Continuare a prendere la cosa, ripetuta da esponenti politici con ampio seguito, come la solita sciocchezza detta da un tribunello della plebe, che si è appena svegliato la mattina, è pericoloso. Perché, al tribunello, ormai credono in molti.

È vero, siamo catapultati dell’Era della post-verità, e tutto sembra basarsi sulla pura emotività e sulle sole convinzioni personali, a discapito dei fatti oggettivi. Ed è un fatto oggettivo che la nostra Costituzione non prevede affatto l’elezione del Presidente del Consiglio da parte dei cittadini. Eppure di Costituzione si è parlato tanto in questi lunghi mesi di campagna referendaria. Ma, pare, molto a vanvera.

Complice di questa situazione di libera interpretàtio costituzionale, c’è il lascito di una contesa elettorale maggioritaria “drogata” dall’indicazione del candidato alla presidenza del Consiglio nel simbolo del partito/coalizione. Gli elettori hanno pensato, erroneamente, di eleggere loro il Premier; e da buoni imbonitori, i politici glielo hanno fatto credere. Ma, come scritto da Augusto Barbera, “la Costituzione è un insieme di regole fondamentali che danno identità a un ordinamento. Esse delineano quindi una determinata forma di Stato in quanto danno, appunto, forma a uno Stato”. E voler far credere altro, rispetto a quanto scritto nel testo, vuol dire, non solo non conoscerlo, ma anche mettere in discussione le fondamenta della nostra società. Insomma, la Costituzione è una cosa seria, anche quando non si è convinti che sia la “più bella del mondo”.

La libertà di pensiero e di parola sono due capisaldi di ogni sistema liberal-democratico. Esse sono la vivificazione della complessità sociale, e dello scibile, ed il riconoscimento dell’autonomia dell’individuo. La quale, però, sempre in un’ottica liberale, a cui si ancora il buon funzionamento del sistema, deve essere unita ad una auto-responsabilità individuale, fondamentale per ogni tipo di decisione e comprensione.

Chi usa la “post-verità” fa un cattivo servigio sociale. Ed in questo caso determina un “fake” costituzionale di dimensioni mostruose. Il quale, in un momento tanto critico, non fa altro che creare aspettative infondate e sobillare gli animi in maniera populista. Possiamo tutti, e legittimamente, discutere della opportunità di un voto anticipato; considerare il Governo Gentiloni posticcio e debole. Ma dobbiamo fermarci qui. È ovvio che in questa situazione le mancanze delle “élite” giocano un ruolo determinante. Tra le loro funzioni c’è anche quella di veicolare il dibattito, di fare sintesi della complessità, ma senza mai scendere nel becero semplicismo. Quando ciò non succede, quando questa “funzione-filtro” viene meno, si determina il caos tipico di una folla. In cui le individualità razionali scompaiono e, come affermato da Le Bon, “i sentimenti e le idee di tutte le unità si orientano nella medesima direzione... sottomessa alla legge dell’unità mentale delle folle”.

La cosa di cui si sente meno il bisogno è il “pensiero unico dominante”. Ma invece, e più che mai, di un pensiero critico, e il più possibile competente. Davanti alla “post-verità” c’è sia il crollo della élite, incapace nello spiegare (e nell’agire!), o complice nel disinformare; sia di tutta la società che, parafrasando Burke, perde la sua importanza perché non fa un uso discreto e costante della ragione. Sappiamo che il populismo rappresenta un sintomo del disagio che si sta vivendo. Ma se un urlo in una piazza conta più di una Carta (costituzionale) scritta, siamo riusciti a superare anche i limiti del “verba volant scripta manent”. E questo è pericoloso, perché oggi quello politico è anche, se non soprattutto, un problema culturale.

La “post-verità” appare la negazione di ogni tipo di cultura. Anche costituzionale.


di Raffaele Tedesco