domenica 18 dicembre 2016
È difficile capire subito i motivi che hanno determinato l’esclusione dalla compagine governativa del gruppo di Denis Verdini. È difficile capire se l’esclusione sia frutto di un semplice errore, di una incredibile sottovalutazione o di una scelta ben motivata e ponderata. Certamente si può pensare che Matteo Renzi, animale ferito, nella fregola di occupare le caselle lasciate vuote dai propri uomini abbia provocato l’errore o abbia spinto a sottovalutarne le conseguenze. Ma sono valutazioni poco credibili sia per l’apporto concreto che gli esclusi hanno dato al precedente Governo, quanto per l’apporto che ancora potrebbero dare.
È più plausibile, quindi, la terza ipotesi: quella di una esclusione, forse addirittura concordata con lo stesso Verdini, per ridurre al massimo il margine dei voti necessari ad una tranquilla navigazione del Governo e non in riferimento soltanto alla fiducia che al Senato necessita di 161 voti facilmente ottenibili dato che in quei momenti c’è sempre il pienone di presenze, ma difficilmente raggiungibili durante l’intera traversata (Paolo Gentiloni ne ha ottenuti 169. Cioè 3 in più di quanti erano previsti per il voto positivo di Mario Monti e di altri due parlamentari di Sel).
Una risicata maggioranza che non potrà garantire mai a Gentiloni l’assenza di scogli nel prosieguo della sua navigazione. L’obiettivo dell’operazione Verdini è semplice. Tenere sotto scacco l’attuale Governo e determinarne la fine quando lo si crederà necessario (far mancare 4 o 5 voti alla maggioranza non è difficile per il falso Cincinnato). In sostanza è tutto finalizzato, non per poter aggredire i problemi del Paese, ma per permettere una rivincita, costi quel che costi, prima che si consumino altri riti (come le Primarie o il Congresso del Partito Democratico) che possano mettere fuori gioco l’aspirante ducetto che era convinto di imbrogliare il popolo italiano ma che ha dovuto ricredersi.
È una partita, comunque, tutta interna al Pd; una partita voluta dal giovin signore fiorentino che attraverso di essa spera di riprendere pienamente il palcoscenico e il potere sfuggitogli di mano. La posta in gioco è la sua vita politica che intende giocarsi fino in fondo. A lui non gliene frega nulla che, per i suoi obiettivi, debba paralizzare per altri mesi l’intero Paese. Il giocoliere non riesce più a valutare che egli, pur registrando da Pontassieve alcuni successi (composizione del Governo Gentiloni, piazzamento di Lotti con l’invenzione di un nuovo ministero, imposizione della Boschi come sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio dei ministri) ha finito il suo percorso, ed è in caduta libera, perché i nodi arriveranno al pettine e si profilano all’orizzonte altri referendum sui suoi gioielli legislativi a partire dal Jobs Act e, a seguire, dalla “Buona Scuola”.
Ma in caduta libera rischia di essere lo stesso Pd. Ed anche se “Renzino” dovesse dar vita all’ex “Partito della Nazione”, tramutato, in questi tempi, nel “Partito di Renzi”, l’operazione non gli servirà a nulla. Potrà, al massimo, avere solo la soddisfazione di prendere più voti degli ex possessori della “Ditta”, ma senza di loro non ha dove andare. Da solo è fuori da ogni ipotesi vincente indipendentemente da quale sarà la nuova legge elettorale. L’aver caricato, con Verdini, la pistola per far fuori Gentiloni sarà alla fine un’operazione inutile.
In questa situazione si aprono, per il centrodestra (Forza Italia, Lega, FdI, Energie per l’Italia, Conservatori e Riformisti, e quant’altro), praterie sterminate sulle quali cavalcare all’unisono senza troppi distinguo ma su una base di un minimo comun denominatore. Se Matteo Salvini vuol copiare quanto fatto da Renzi sappia che sta regalando il potere ai qualunquisti per eccellenza, cioè ai grillini, che hanno già dimostrato quanto valgono e pesano amministrando (?!) Comuni piccoli e grandi come la stessa Capitale d’Italia, con dubbi risultati.
L’Italia del “No” al referendum e del “No” a Renzi non merita di essere consegnata ad una banda di descamisados senz’arte né parte. L’affosserebbero inesorabilmente, mentre la storia bollerebbe come piccoli politicanti, caricati da forte voglia di potere personale, quanti si macchieranno di questo delitto.
di Giovanni Alvaro