Legge elettorale, altre riflessioni

giovedì 15 dicembre 2016


È dell’altro giorno una mesta considerazione di Massimo Bordin, certamente uno dei più simpatici e validi reduci delle ultime sciagurate vicende radicali e di una non meno sciagurata sfilata di begli ingegni “foglianti” propugnatori del “Sì” sul probabile ritorno al sistema elettorale proporzionale.

Io non so se tale previsione sia plausibile. Non posso dirmi un sostenitore preconcetto e ad oltranza del sistema proporzionale. Certo è che il proporzionale, salvo naturalmente qualche diavoleria di pezze colorate di cui sembra siano maestri i nostri attuali legislatori, è, almeno, “un sistema” da scegliere e non un “combinato disposto” tra pasticciate norme che favoriscano, in base alle ultime rilevazioni sulle intenzioni di voto dei cittadini e le rilevazioni sulle situazioni parlamentari in ordine ai voti necessari per far approvare “nuove leggi”, in virtù delle quali “chi perde voti acquista seggi”.

Ma dello scritto di Bordin è interessante la storia che fa dell’abbandono del sistema proporzionale negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, cui seguì la cascata delle nuove leggi con le quali partiti, partitini e “poteri forti” si disputarono la rappresentanza del corpo elettorale. Fu Marco Pannella a lanciare il primo assalto, proponendo il sistema dei collegi uninominali “secco” (senza ballottaggio). Si trattava, in verità, di una prima manifestazione del suo intento di “liberarsi” del Partito Radicale (poi altrimenti realizzato) che con quel sistema sarebbe scomparso come forza parlamentare, cosa che oramai “andava stretta” alle sue vocazioni messianiche. Da Pannella a Segni e quel che è seguìto. Certo è che quella fase di frenetiche riforme elettorali fu di per sé un crescendo indiscutibilmente antiparlamentare. Di un antiparlamentarismo senza alternative e senza preoccupazioni di sfociare nell’antidemocrazia. Non è qui il luogo ed il tempo di farne la storia. Come non è questa l’occasione di fare la storia e le analisi di quel tanto di residuo di liberalismo che può ritrovarsi nell’adunata dei “moderati” suonata da Silvio Berlusconi.

La sconfitta di Matteo Renzi al referendum costituzionale è la sconfitta di un movimento di regressione democratica, in un Paese in cui la democrazia e le libere istituzioni avevano sofferto, subito dopo la fine del Fascismo e l’avvento della Repubblica, una vita stentata ed equivoca e ciò sia per le esigenze prodotte dalle divisioni del Mondo per la Guerra fredda, ma, al contempo, per i sotterfugi consociativi del cattocomunismo strisciante con il quale si consumarono i più pesanti equivoci atti a smorzare gli slanci delle novità del Paese.

Il renzismo, lo ripeto, ha radici antiche negli equivoci della Prima Repubblica e in inconfessabili retroscena della sua fine ingloriosa. Comprendo la mestizia di Bordin di fronte alla prospettiva del ritorno al proporzionale. Certo non ho motivi per condividerla. Né è sufficiente motivo di essere allegro il fatto che la scelta del proporzionale sarebbe troppo chiara e troppo poco “ad personam” per quasi tutti. Ma non vado alla ricerca dell’allegria. Mi accontenterei di un po’ di rispetto per la ragione e l’onestà del buon senso.


di Mauro Mellini