“Media”: un fallimento socioculturale

mercoledì 14 dicembre 2016


Chi “avrà durata l’eroica fatica” di andarsi a rileggere qualche editoriale che ha caratterizzato la linea culturale e sociale di alcuni tra i maggiori quotidiani italiani, ma anche gli inesausti e ripetitivi talk-show di quest’anno, potrà vedere nei fatti quanto quel modello socioculturale sia stato lontano dalla verità e l’abbia dimenticata senza fare un minimo di autocritica. La storia narrata, quella ufficiale, è sembrata spesso più funzionale ad interessi diversi da quelli che dovrebbe avere un’informazione che si possa definire indipendente ma invece è servile; solo alcuni hanno sfidato il monoblocco culturale che è sembrato sempre più essere una consunta riedizione del “Minculpop” (Ministero della cultura popolare) del ventennio fascista; termine, questo, poi paradossalmente usato dagli stessi media per definire il pensiero contrario al loro.

L’anno che si sta chiudendo è stato un esempio da manuale di questa distorta e manipolata informazione dettata dai finanziatori dei media che hanno suggerito che cosa e come dirlo. L’attacco neoliberista e della finanza alla società ha reso la stessa più aggredibile, ha separato il potere dalla politica diventando sovraordinato alla stessa e ha usato i canali di comunicazione per la realizzazione di interessi lontani da un bene comune troppo spesso sbandierato come foglia di fico per mascherare invece un’azione lobbistica di comando. La globalizzazione avviata da un liberismo sfrenato ha imposto la finanza come strumento egemonico per condizionare le scelte politiche ed imporre un’oligarchia spacciata come democrazia che di fatto si è cercato di sgretolare. La globalizzazione negativa, come la definisce Zygmunt Bauman, ha favorito il formarsi di poteri sovradeterminati rispetto ai singoli Stati, rendendoli ostaggi dei meta-problemi globali, ma oggi gli equilibri di potere si stanno ridefinendo per un diverso equilibrio globale.

Siamo arrivati ad un punto di svolta storico, ma i media hanno sistematicamente ignorato l’evidente verità di fatti che ora ci si pongono davanti con inquietanti interrogativi e hanno continuato in un percorso univoco sostenendo posizioni smentite in modo conclamato. L’ultimo anno che si sta per chiudere ci ha posto davanti a cambiamenti sociali e politici profondi e mai capiti, o voluti capire, ma presentati e previsti sempre in modo opposto a come si sono manifestati.

Possiamo in sintesi vedere le principali dissonanze con la realtà in merito ad eventi che hanno caratterizzato il processo di cambiamento a livello globale. Si è cominciato all’inizio dell’anno prendendo di mira l’attuale presidente eletto degli Stati Uniti d’America come una sorta di clown da circo. Certo, i suoi interventi erano pugni nello stomaco ma erano necessari per risvegliare una società assopita e prona alle élites. Era necessario arrivare all’America profonda che non è New York ma quella del Middle East, dei farmers, delle comunità che hanno mandato al macello i propri giovani per guerre funzionali non al Paese ma all’interesse di pochi che avevano un ben preciso disegno egemonico al momento bloccato. Era necessario risvegliare la memoria, la rabbia dei tanti giovani veterani dimenticati e gravemente sofferenti di problemi traumatici derivanti da guerre non capite, basti pensare al film “American Sniper” di Clint Eastwood che mostra le tragedie di giovani mentalmente labili che erano un potenziale fuoco sotto le ceneri.

Tutto è stato dimenticato nell’ossessiva presentazione di Hillary Clinton come la salvatrice di un mondo di pochi ma non di quello dei tanti che negli Usa sono vicini alla ribellione di massa evidenziata dai continui fatti di sangue. Non solo i media americani ma anche quelli nostrani hanno cavalcato l’ordine di scuderia non ponendosi minimamente il problema della situazione sociale drammatica degli Usa, sistematicamente manipolata con un’informazione inesatta e spesso falsa. Insomma a Donald Trump non doveva essere dato spazio.

La strategia di guerra dell’amministrazione di Barack Obama verso la Russia di Vladimir Putin è stata perseguita definendo la Russia e Putin come un pericolo mortale per la democrazia e la libertà dell’Europa ed anche i nostri media si sono accodati in modo acritico. Eppure il vero problema degli Usa è la Cina e l’alleanza con la Russia sarebbe funzionale a definire un equilibrio di potere globale più utile a tutti. La guerra in Siria è sempre stata rappresentata come una guerra di religione, invece è solo una guerra di occupazione territoriale e di potere per il governo del petrolio contro la Russia; non a caso il Qatar è entrato oggi nella Gazprom cambiando alleato.

La Brexit, in aprile, è stato l’altro caso da manuale della miopia di un giornalismo fatto sotto dettatura, sembrava una possibile catastrofe ma poi si è rivelata, come prevedibile, una bolla di sapone. La Gran Bretagna è stato il primo governo globale al mondo ma oggi ha solo ricordi e assomiglia ad una vecchia nobildonna che non vuole rinunciare al ricordo antico dei suoi splendori ormai appassiti. Il 33,3 per cento dei cittadini inglesi sono sotto la soglia della povertà, sono stati loro a votare la Brexit contro la scommessa che David Cameron aveva fatto senza mai rendersi conto che dal palazzo non si vede la povera gente che si affanna ogni giorno per vivere di pane e non di carta moneta stampata all’infinito e senza valore reale.

Le elezioni americane hanno segnato l’altro picco del giornalismo servile ed alcuni editoriali sono da incorniciare per una futura memoria di coloro che li hanno scritti, innalzando la Clinton a madrina di una libertà inesistente. I nostri media non sono stati capaci di analizzare il senso di un voto storico a cui hanno contribuito i veterani, i militari che hanno combattuto guerre nell’interesse di pochi mentre il Paese era stato spolpato dalla finanza egemonica di Wall Street. Sempre i nostri media si sono mostrati arrabbiati perché i fatti non erano andati come volevano loro ed hanno mostrato una rabbia profonda piuttosto che un’analisi ed un’autocritica oggettiva. “Trump è stato un imbroglione, fallito quattro volte, uno che confonde il suo patrimonio con i suoi debiti e non ha i soldi che dice di avere” sosteneva il giorno dopo le elezioni un imprenditore italiano condannato in primo grado per omicidio colposo; ma è un problema di soldi o di modelli socioculturali falliti? Le azioni successive di Trump dimostrano che le sue idee sono molto chiare e funzionali a smontare un sistema di potere che si sta indebolendo sempre più.

Poi abbiamo avuto la commedia all’italiana del referendum ed anche qui da parte dei media a condannare il possibile voto contrario come un ritorno al passato e ad una disgrazia da evitare; con il “Sì” tutti i media si sono schierati ed i due quotidiani principali hanno fatto editoriali storici da Marte dove da tempo soggiornano a lungo. Il ruolo dei media, per fortuna diversi di loro hanno preso posizioni contrarie e grazie a loro si è potuto ristabilire un equilibrio informativo più aderente alla realtà, è stato sempre univoco sotto una dittatura di pensiero che non ammetteva deroghe. In questo modo hanno cercato di influenzare l’opinione pubblica verso indirizzi non condivisi dalla maggioranza ma funzionali ai loro finanziatori. Questo modo di vivere il giornalismo di opinione in modo acritico è da ritenersi criticabile ed anche tale da doversi assumere le conseguenti responsabilità? Probabilmente sì, ma è il momento di unire il Paese, ritrovare il senso del bene comune e cominciare a capire veramente che la crisi è la fine di una storia e di un modello socioculturale fallito così com’è fallita una classe dirigente, ma non solo quella politica, che da troppo tempo vive di rendita sulle spalle della povera gente scaricando su di essa il peso di un debito funzionale a mantenere il consenso ed il sistema di relazioni tossiche che rischia di uccidere il Paese. Ancora una volta abbiamo un Esecutivo figlio di interessi che dimostra come sia difficile scardinare un sistema che si è infiltrato in profondità con la cultura dell’attaccare l’asino dove vuole il padrone.

Siamo prossimi al Natale, sarà un Natale di riflessione e forse in molte situazioni povero ma non è detto che sia privo di sentimenti e della voglia di tornare a sperare in un mondo migliore sia per i vecchi che per i giovani. È giunta l’ora non di continuare a spartirsi il bene comune e nemmeno di continuare a pensare allo spread, dimostrazione fittizia di una falsità spacciata per verità: è ora invece di fare un vero esame di autocoscienza per capire quale tipo di società vogliamo avere per il futuro. Non sarà facile rispondere a questa domanda che richiede il rinnovo del pensiero ed il ritorno alla creatività che questa classe dirigente dimostra di non avere. Buon Natale a tutti e che possa essere un Natale di riconciliazione per permetterci di capire il senso del valore della redistribuzione del reddito per aiutare i più deboli a condividere il pane e la vita.

(*) Professore ordinario di Economia aziendale – Università Bocconi


di Fabrizio Pezzani (*)