Legge elettorale: ora il dibattito

martedì 13 dicembre 2016


La posta in palio, in questo momento, non è certo il Governo. Infatti, quello che può unire ora Partito Democratico e Forza Italia è il “lodo” legge elettorale. E su di essa, almeno secondo il quotidiano “La Stampa”, trapelano notizie che parlano, in ordine sparso, di un sistema “semi-maggioritario” senza preferenze, o un “Mattarellum” rivisto con la solita quota di proporzionale, per giunta allargata. Da queste prime indiscrezioni, sembrerebbe possa affermarsi che “nulla di nuovo sotto il cielo” italico, con soluzioni che potrebbero apparire, ancora una volta, piuttosto “conservative di potere”, che di rinnovamento dello stesso.

Forse il dibattito prenderà quota, o almeno questo è l’auspicio. Ma, stando all’oggi (e non solo), sembra che il sistema maggioritario uninominale a turno unico non venga per niente preso in considerazione. Se non dai soli (e soliti) Radicali, che non si sono stancati mai di sostenerlo. E la loro battaglia, che forse non è improprio definire culturale, oltre che politica, va avanti nel silenzio più totale, cercando faticosamente almeno spazi di confronto e dibattito.

La battaglia politica per l’uninominale, pur se raggiunse proporzioni importanti all’inizio degli anni Novanta, nel momento del collasso della Prima Repubblica, ma da cui, poi, scaturì l’ibrido (e cerchiobottista) Mattarellum, aveva già echi che provenivano da lontano. Infatti, il dibattito iniziò appena dopo la caduta del fascismo, e vedeva contrapposti “proporzionalisti” e “maggioritari”. Tra questi ultimi abbiamo, tra l’altro, due esponenti del liberalismo pre-fascista come Vittorio Emanuele Orlando e Benedetto Croce. La loro polemica contro il proporzionale (in vigore nel Regno d’Italia dal 1919) partiva dall’assunto che esso avesse minato le basi dello Stato liberale, creando quelle condizioni di instabilità, approfittando delle quali, poi, il fascismo andò al potere. Sappiamo come andò a finire. Ma non per questo, anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il dibattito terminò del tutto. Tra coloro che lo tennero in vita, e che si batterono per una legge elettorale maggioritaria uninominale, ci fu Luigi Einaudi, che ancora negli anni Cinquanta non smise mai di polemizzare contro il proporzionale. In uno dei suoi scritti sull’argomento (“Osservazioni sui sistemi elettorali nell’ipotesi che la scelta cada”, del 22 dicembre 1953), in cui ribadiva la sua convinzione granitica della superiorità dell’uninominale, Einaudi fa menzione, tra l’altro, di una variante a tale sistema elettorale, proposto dai liberali inglesi per non rimanere schiacciati tra Conservatori e Laburisti, e definito uninominale del “voto alternativo”. O, come ribattezzato dall’ex Presidente della Repubblica, “a ballottaggio preventivo”.

Il ballottaggio, in effetti, non esiste, perché il turno rimane unico. L’elettore, però, ha due voti, che valgono nell’ordine in cui sono dati (primo e secondo). “Se i candidati sono tre, Tizio, Caio e Sempronio, l’elettore vota in prima linea, suppongasi, Tizio. Se Tizio riesce perché ha raggiunto il 50 per cento più uno dei voti validi, la cosa è finita. Se Tizio non riesce, e non riesce nessun altro, e l’elettore, in seconda linea, ha votato Caio, ed altri hanno votato per Tizio e Sempronio, si fa il conto e si vede quale dei tre candidati ha ottenuto il maggior numero dei voti. Tenendo conto dei voti in prima linea ed insieme di quelli in seconda linea, riesce eletto colui il quale dei tre candidati ha ottenuto il maggior numero dei voti. Le contrattazioni scandalose proprie del sistema di ballottaggio non sono concepibili”.

Forse sono esempi fuori tempo massimo, perché legati a periodi storici troppo remoti. Ma ciò che qui è importante sottolineare è l’altezza del dibattito. La fermezza con cui, pubblicamente, e senza mezze misure, si argomentano idee, non per forza condivisibili, ma brillanti. La legge elettorale ha la prima funzione nella conquista del potere democraticamente. Troppo spesso, nei ragionamenti che si fanno intorno ad essa, e negli esiti che poi ne scaturiscono, appare maggiormente privilegiato l’aspetto della “conquista del potere”. Il “democraticamente” (inteso nel senso più ampio e liberale possibile) appare dato per scontato. Ma il livello politico a cui siamo arrivati esige di prestarci un’attenzione maniacale. Le pur nobili e importanti ragioni della stabilità non possono tutto, in special modo in un sistema, come quello italiano, dove qualche fondamenta sembra scricchiolare. Qui non c’è solo il problema di eleggere una “pura” rappresentanza; ma anche di come tale rappresentanza debba essere effettivamente rappresentativa. È la qualità del dibattito il primo passo per una buona legge. La politica è attesa ad uno sforzo di cui, si spera, essa sia ancora capace.


di Raffaele Tedesco