Renzi animale ferito verso il colpo finale

sabato 10 dicembre 2016


Gli ultimi episodi registrati nel dopo referendum hanno permesso di conoscere fino in fondo, soprattutto a chi ancora nutrisse dubbi, la vera natura del piazzista di Rignano sull’Arno. L’aver annunciato che avrebbe rassegnato le proprie dimissioni da Presidente del Consiglio, prima di comunicarlo al Presidente della Repubblica, può sembrare un semplice atto di volgare scorrettezza, ma nasconde l’ego del protagonista che si sentiva, e sicuramente si sente ancora, il dio calato in terra a cui tutto è consentito.

Ma l’episodio rivelatore della sua natura autoritaria è l’aver scelto di disertare le consultazioni, avviate da Sergio Mattarella, alle quali ha deciso di far partecipare una delegazione guidata dal vicesegretario Lorenzo Guerini, dal presidente del Partito Democratico Matteo Orfini e dai due capigruppo di Senato e Camera. In questa decisione non c’è solo la scorrettezza che è roba normale per i bulli di periferia, ma c’è chiaramente la vena autoritaria con la quale aveva intriso la pseudo-riforma costituzionale.

Per fortuna la marea dei “No”, realizzata su una partecipazione al voto che da tempo memorabile non si vedeva, è servita a sbarrare la marcia all’aspirante dittatorello nell’ascesa, considerata irresistibile, da molti che si erano appollaiati sul carro del presunto vincitore. Tra questi vi è chi mi rimproverava di allarmismo per la democrazia e la libertà e pensava, ingenuamente, che mai e poi mai Matteo Renzi avrebbe potuto creare problemi all’attuale capo dello Stato essendo rispettoso delle istituzioni e sottovalutando quel maledetto quorum di 368 voti realizzabile con i 340 deputati (selezionati col metro della fedeltà) della nuova Camera (eletta con l’Italicum) e con un’aggiunta di altri 28 reperibili nel “Senaticchio”, per liquidare chi poteva ostacolare il suo cammino.

Il risveglio dell’Italia da tempo “in sonno” non solo ha permesso di ripristinare il quorum col quale si poteva mettere in stato d’accusa il Presidente della Repubblica, ma ha ripristinato tutti gli altri contrappesi che erano stati cancellati dalla “schiriforma” boscorenziana. Pericolo finito? No di certo. Democrazia e libertà vanno difesi giornalmente non solo con i dettami della Costituzione, ma soprattutto con politiche serie capaci di affrontare quella crisi che sta distruggendo il nostro Paese che non può fargli risalire la china con gli zero virgola che venivano sbandierati come grandi risultati e sono anche alla base del grande successo del “No” al referendum.

Ma Renzi sembra non aver capito il messaggio degli italiani, che oltre alla riforma hanno anche detto “No” al suo non Governo con le sue vergognose mance che fanno lievitare enormemente il debito pubblico che poi dovrà essere pagato dalle generazioni future. Come se nulla fosse successo, infatti, il signorotto fiorentino tenta di imporre ancora al Paese la sua presenza, dimenticando che lui aveva giurato di dimettersi e di abbandonare la politica. Ma non vuole farlo.

Attualmente è come un animale ferito e come ogni animale ferito reagisce inconsultamente. Una specie di Sansone che, dovendo morire, preferirebbe trascinarsi dietro quelli che lui considera filistei. Non sottovaluti, però, il popolo italiano. Se ha saputo dire “No” quando il giovanotto era sull’onda del successo, figurarsi dopo aver scoperto che anche Renzi non è invincibile, come Superman, ma è un comune mortale che come tutti i comuni mortali è capace di vincere ed è soggetto alle sconfitte.

Nel Pd c’è chi non minimizza la lezione che è arrivata con i risultati elettorali, se è vero come sembra che non solo coloro che apertamente avevano abbandonato il ducetto durante il referendum, ma anche altri settori vicini al Presidente della Repubblica sono pronti a dargli il colpo finale. A nulla valgono i maldestri tentativi di coinvolgere Silvio Berlusconi e Forza Italia, che stanno godendosi la ritrovata possibile rinascita e non intendono sperperare la nuova fiducia che gli astenuti da lungo tempo gli hanno concesso ritornando al voto. Un atto, questo, pari alla stessa vittoria del “No”.


di Giovanni Alvaro