venerdì 2 dicembre 2016
Ha ragione Arturo Diaconale: perché la prossima domenica vincano i “No” occorre un miracolo. Se fosse soltanto questione di merito non ci sarebbe partita: la riforma costituzionale proposta dalla coppia Renzi-Boschi è pessima. E pericolosa. Il guaio è che domenica voteremo non solo per confermarne o rigettarne il contenuto, ma anche per assegnare un giudizio politico definitivo sull’attuale Governo. Non sarebbe corretto, ma l’ha voluto Matteo Renzi. È stato lui, con puntuale arroganza, a voler trasformare la data del 4 dicembre in un’ordalia sulla sua persona. Anche la tardiva marcia indietro sull’ostinata personalizzazione del voto referendario sa d’imbroglio. Il giovanotto non ha alcuna intenzione di separare il destino del Governo da quello della revisione della Carta costituzionale. Se gli italiani l’approveranno, questo è il suo ragionamento, sarà una svolta epocale, quindi colui che l’ha voluta contro un vasto fronte di oppositori è promosso sul campo “uomo del destino” al quale affidare le sorti del Paese per i decenni futuri. Per conseguire questo obiettivo personale Renzi ha messo di tutto e di più dentro la campagna elettorale. Ha cominciato dalla promessa di una sanità migliore in caso di vittoria del Sì per finire, nelle ultime ore, con l’annuncio della chiusura dell’accordo-quadro con i sindacati per il rinnovo del contratto nazionale del pubblico impego. Tradotto: la promessa di una pioggia di denaro nelle tasche del ceto medio impiegatizio. È un déjà vu che funziona: alle Europee del 2014 il giovanotto fece incetta di voti tra coloro che erano stati omaggiati della famosa mancia elettorale degli 80 euro. Bisogna riconoscere che lui, pur con modi da Capitan Fracassa, sa sempre quali corde far vibrare per giungere al cuore dell’Italia dei garantiti.
Ma Renzi non è il solo ad aver messo tutte le sue fiches sul “Sì”: altri giocatori si sono accomodati al tavolo della roulette referendaria. La contesa, infatti, da evento di politica interna è divenuta affare d’interesse globale. Le nomenklature degli apparati sovranazionali, a cominciare dagli eurocrati della Ue, hanno assistito pressoché impotenti all’avanzata dell’onda populista che ha avuto due passaggi fondamentali: la Brexit e la vittoria a sorpresa di Donald Trump nella corsa per la Casa Bianca. La preoccupazione che la rivolta dei popoli contro le élite stesse diventando virale ha spinto i “poteri forti” a correre ai ripari. La scadenza elettorale italiana è improvvisamente divenuta la nuova “linea gotica” dell’armata malconcia della globalizzazione.
“O Roma, o morte” è il grido di guerra che si sente ripetere dalle parti di Bruxelles e dintorni. Segno che le notizie giunte dall’Austria, dove sempre il 4 dicembre si voterà per eleggere il presidente della Repubblica, non sono buone. Se vincesse il candidato dell’estrema destra sovranista, Norbert Hofer, per gli eurocrati e i fautori della finanza globalizzata sarebbero dolori. A quel punto soltanto un risultato positivo in Italia potrebbe attenuare il panico che inevitabilmente si scatenerà all’interno degli establishment mondialisti. Allo scopo l’arcigna Bruxelles cambia marcia nel rapporto con l’Italia e da “signor No” si traveste da “Gradisca” di felliniana memoria. Cari italiani, volete sforare nei conti? Accomodatevi. Volete i denari per la ricostruzione del post-terremoto? Prendeteli pure dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, no problem. L’importante che siate contenti di questa Ue e dei suoi soci della Bce, dell’Ocse e del Fondo Monetario e che domenica votiate per il “Sì”. E dimenticate quella brutta storia dell’austerity sui conti pubblici: era tutta una manfrina, soltanto sano umorismo tedesco. Contro questa gigantesca macchina da guerra che finge di allentare i cordoni della borsa cosa mai potrà fare il povero elettore italiano? Magari non farsi abbagliare dagli effetti speciali del “Nuovo Cinema Renzi”. Hai visto mai che il piccolo Davide riesca a buttar giù quel farabutto di Golia?
di Cristofaro Sola