Stango: le nuove battaglie della Lidu

giovedì 1 dicembre 2016


La presidenza di Antonio Stango alla Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo (Lidu Onlus), la prestigiosa e più antica organizzazione italiana per i diritti umani fondata nel 1919 da Ernesto Nathan non poteva esordire sotto migliori auspici. Dopo aver coordinato con successo l’ultimo Congresso mondiale contro la pena di morte che si è svolto a Oslo lo scorso giugno, a pochi giorni dal suo ritorno da una missione in quattro Paesi africani (Kenya, Zambia, Malawi e Swaziland) sostenuta dal ministero degli Affari Esteri e organizzata da Nessuno tocchi Caino, del cui direttivo Stango è membro, al fine di acquisire il sostegno alla moratoria delle esecuzioni capitali, il neo presidente della Lidu incassa un apprezzabile successo per la battaglia abolizionista cui si dedica da decenni: il voto a favore dello Swaziland e del Malawi, che il 17 novembre hanno accordato il loro sì nella prima votazione del Terzo comitato Diritti umani dell’Onu, in attesa che la moratoria torni al voto conclusivo in plenaria dell’assemblea generale a metà dicembre.

Da sempre impegnato per una Giustizia giusta e per la diffusione dei diritti umani e per lo Stato di diritto sia come attivista radicale, sia nelle vesti di politologo, con ruoli guida di Ong oltre che docente di corsi di addestramento in diritto internazionale umanitario in Italia e in altri Paesi come il Kazakistan, Stango ha condotto missioni in svariate aree di crisi anche per Freedom House e International Helsinki Federation. La saldatura tra l’impegno internazionale e l’insigne tradizione della Lidu, assicura, sarà la cifra della sua presidenza, con l’impegno di farne un veicolo di promozione e formazione sui diritti umani nelle scuole e nelle università.

L’esito della missione in Africa si può considerare un progresso nella lotta alla pena di morte?

“Senz’altro, frutto anche del dialogo costruttivo con alcune personalità di questi Paesi che da anni osservano una moratoria di fatto, senza averla formalizzata con un provvedimento di legge, in attesa che la popolazione sia preparata ad accettarla de iure. È stata molto positiva l’indicazione venuta dal voto alla Commissione sui Diritti umani dell’assemblea generale il 17 novembre, quando il Malawi e lo Swaziland si sono pronunciati a favore della moratoria universale – laddove nel 2014 il primo si era astenuto e il secondo non aveva partecipato al voto. Un successo che tenteremo di estendere per il voto finale in plenaria a dicembre”.

L’abolizionismo è una tendenza universale o i dispotismi e la recrudescenza di regimi repressivi, uno per tutti la Turchia, oltre ad una legislazione antiterrorismo che amplia il campo di applicazione della pena di morte utilizzata da alcuni Paesi contro l’estremismo islamico, lo comprometteranno?

“Saranno più numerosi gli Stati che passeranno dall’astensione al voto favorevole alla moratoria, sebbene alcuni abbiano mostrato di voler invertire il trend mondiale. Erdogan in Turchia ha minacciato di reintrodurla benché abbia formalmente sostenuto il Congresso contro la pena di morte e il Paese sia parte del Consiglio d’Europa. Altro caso le Filippine, il cui presidente ha espresso il favore alla pena capitale giuridica e ha invitato le forze di polizia ad uccidere sul posto i responsabili di alcuni reati”.

Nel solo 2015, secondo Amnesty International, ci sono stati 1634 prigionieri giustiziati in 25 Paesi, 1998 condannati a morte nel mondo. Ci fornisce qualche numero sugli Stati che mantengono la pena di morte e sulle adesioni alla moratoria?

“A questi dati bisogna aggiungere quelli delle esecuzioni in Cina, che Amnesty non utilizza poiché non sono ufficiali ma che riteniamo siano state circa 3mila. Ad oggi, secondo la documentazione di Nessuno tocchi Caino, gli Stati che effettivamente mantengono la pena di morte sono 37, 44 gli abolizionisti di fatto pur prevedendola de iure, 6 gli abolizionisti per i crimini ordinari ossia che la prevedono solo per circostanze eccezionali e 105 quelli del tutto abolizionisti. Asia e Paesi arabi sono le regioni che più resistono all’affermarsi dell’abolizionismo. Escludendo la Cina, secondo Amnesty International nel 2015 Iran, Pakistan e Arabia Saudita sono stati responsabili dell’89 per cento delle esecuzioni. All’ultima risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu sulla moratoria, nel 2014, 117 Stati hanno votato a favore, 38 contro, 34 si sono astenuti – e prevediamo un incremento dei voti a favore in questa sessione”.

Nel continente europeo?

“In nessuno Stato dell’Ue né del Consiglio d’Europa (organizzazioni che prevedono un divieto completo della pena di morte per gli Stati membri) c’è la pena di morte, con l’eccezione teorica della Russia, unico Paese nel CdE che la mantiene nei codici ma che ha una moratoria per legge, approvata dalla Duma. L’auspicio è che arrivi anche alla completa abolizione. La Bielorussia, invece, è l’unico Stato europeo che non fa parte del Consiglio d’Europa perché mantiene la pena di morte ed esegue le sentenze. Ad essa il Congresso di Oslo ha dedicato un evento specifico cui hanno partecipato attivisti per i diritti umani provenienti dalla stessa Bielorussia insieme con esponenti del Comitato Helsinki norvegese e della Lega internazionale dei Diritti dell’uomo”.

A detta di molti il Congresso è stato il migliore per qualità degli interventi e del dibattito e pluralità di argomenti.

“In effetti si è contraddistinto, oltre che per l’efficace interazione con il network di università, istituzioni internazionali e Ong, per la quantità dei temi complementari con approfondimenti sull’Asia orientale, sull’Iran e sul rapporto tra la pena di morte e il terrorismo, la sharia, le malattie mentali. Inoltre abbiamo avuto un serio dibattito su metodologie e strumenti per arrivare all’abolizione. Su questo ha avuto largo consenso, in particolare, l’impegno che Nessuno tocchi Caino conduce fin dal 1993 per la moratoria delle esecuzioni”.

In che termini sono stati affrontati temi come la pena di morte e malattia mentale?

“Intanto dal punto di vista del diritto internazionale che prevede regole di valore universale, come il divieto di condannare a morte e di eseguire le sentenze per chiunque al momento del fatto fosse in condizione di malattia mentale: disposizioni ignorate in alcuni Stati – spesso in Iran, ma recentemente anche negli Stati Uniti. Il diritto internazionale non vieta la pena di morte in sé (tranne che per gli Stati che aderiscano a protocolli o convenzioni facoltative), ma vi sono limitazioni valide per tutti contenute nell’articolo 6 del Patto internazionale dei diritti civili e politici. Un equo processo, la possibilità di appello e di chiedere la commutazione della sentenza o la grazia sono limiti violati regolarmente in molti Paesi, come anche il divieto di condannare a morte minorenni al momento del fatto o donne in stato di gravidanza. In molti Stati, sulla base di tradizioni spesso inventate dai regimi al potere, si eludono i patti internazionali in materia di diritti: il solito problema di superare il relativismo, quando il primato dei diritti umani universali cede alle riserve regionalistiche”.

Quale sarà il raggio d’azione della Lidu ed il tratto distintivo della sua presidenza?

“L’obiettivo è la saldatura tra la storica e illustre eredità illuminista e mazziniana della Lidu, che dal suo ritorno in Italia dopo l’esilio in epoca fascista ha sviluppato soprattutto iniziative per i diritti umani nel nostro Paese, e una sistematica azione sul piano internazionale. La Lidu ha costituito insieme con la Lega francese ed altre fin dal 1922 la Federazione Internazionale delle Leghe dei Diritti dell’Uomo; intensificheremo questa collaborazione, con un’azione di lobbying a sostegno di tutti i soggetti impegnati per affermare in ogni sede nazionale ed internazionale l’universalità dei diritti umani, lo stato di diritto, la piena attuazione del diritto internazionale. La mia elezione penso indichi questa nuova proiezione su un percorso più internazionale, incardinato sul monitoraggio di situazioni di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani e sulla presenza in alcune sedi internazionali che hanno rilevanza in questo campo, come il Meeting annuale sulla Dimensione Umana dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) o lo United Nations Human Rights Council. Contribuiremo a rapporti anche con missioni sul campo, solleciteremo istituzioni ed organismi italiani, Parlamento e Governo ad atti legislativi o esecutivi a tutela dei diritti e delle libertà e richiameremo le organizzazioni internazionali alla responsabilità di difendere l’attuazione dello stato di diritto anche con il sostegno ufficiale a chi è vittima di regimi repressivi. Questo è cruciale per ottenere risultati duraturi. Lavoreremo inoltre con un approccio globale di fronte al fenomeno dei flussi migratori, materia che va affrontata con estrema razionalità e guardando al diritto internazionale e al federalismo europeo”.

Diritti universali, stato di diritto, libertà fondamentali ma anche giusto processo, diritto di difesa contro le aberrazioni del sistema giudiziario, l’eccessiva durata dei procedimenti e una gestione del sistema penitenziario fuori della legalità e del senso rieducativo che la Costituzione assegna alla pena. Un patrimonio giuridico che l’Italia ha perduto. Vi impegnerete per una nuova alfabetizzazione culturale?

“La battaglia prioritaria della Lidu sarà contribuire a diffondere la cultura dei diritti tra i giovani con programmi di formazione scolastica e post-universitaria, attraverso la spiegazione dei principali documenti e quadri giuridici nazionali e internazionali in materia e di quanto e come essi vengano o meno rispettati nella realtà di molti Stati. La materia dei diritti individuali non è affrontata a scuola, il mondo dell’esecuzione penale è tenuto fuori dai percorsi conoscitivi dei nostri studenti e la Lidu può fare molto: porteremo il nostro contributo di idee, analisi e proposte su questi temi e daremo ancor più importanza di quella che c’è stata in passato ai programmi di informazione e formazione dei diritti umani, avvalendoci del supporto dei nostri iscritti tra cui docenti, dirigenti scolastici e membri dell’avvocatura. Si tratta di un bagaglio formativo essenziale per chiunque, non solo per chi, uscito da un percorso universitario giuridico o di scienze politiche, chieda maggior preparazione teorico-pratica nel campo della protezione dei diritti umani. Intendo facilitare l’integrazione fra conoscenza accademica e lavoro sul campo con un corso sul diritto internazionale umanitario, che includerà il partenariato con altre Ong qualificate. Ampliare la collaborazione con le università nazionali ed estere, con il mondo dell’avvocatura, con le organizzazioni e istituzioni internazionali e non governative è indispensabile per cementare nelle nuove generazioni i fondamenti del diritto internazionale, i valori dello stato di diritto e l’affermazione del pensiero abolizionista”.


di Barbara Alessandrini