martedì 29 novembre 2016
Tutti quelli della sinistra caviale e champagne, della sinistra che dice: “Gesù Cristo era comunista”; della sinistra Saint Moritz, a partire da Giorgio Napolitano, piangono ed esaltano Fidel Castro. Si riconoscono in lui e nella sua vicinanza al popolo, soprattutto nello stile di vita del “Líder Máximo”, che notoriamente amava il lusso e le comodità.
Castro, infatti, mentre affamava e terrorizzava i cubani, requisiva per sé e per i suoi le più belle residenze cubane, all’interno delle quali di certo fame e freddo non esistevano, come non esistevano rinunce e carestie. Del resto è documentato, noto e confermato, quanto il comandante della rivoluzione comunista vivesse di sfizi e capricci personali, che di popolare non avevano nulla di nulla. Insomma, predicava bene e razzolava male, così come la quasi totalità di tutti i leader comunisti della storia, da Breznev a Ceausescu, da Tito a Kim Jong-un allo stesso Mao.
È la vecchia storia dell’ipocrisia comunista che attaccava il capitalismo, il libero mercato, l’intrapresa privata, la ricchezza e poi la utilizzava a mani basse per i capricci personali, mentre il popolo era alla fame. Eppure, i signori del comunismo e postcomunismo e cattocomunismo italiano esaltano la storia di Fidel Castro come fosse un Robin Hood da santificare. È la plastica testimonianza di tutte le falsificazioni che ci hanno propinato e provano a propinarci ancora, tanto è vero che se Fidel Castro fosse stato tale e quale ma anticomunista, lo avrebbero bollato come un satrapo spietato, assassino, fascista e affamatore dei popoli.
Sono talmente pervasi dal virus dell’ipocrisia da rinnegare la realtà pur di convincere, suggestionare, condizionare il consenso popolare, salvo poi utilizzarlo a proprio uso e consumo. Sono gli stessi che in decenni di dittatura cubana hanno fatto finta di non vedere le persecuzioni e le uccisioni dei dissidenti, la terroristica negazione del libero pensiero, la costante violazione dei diritti umani. Sono quegli stessi personaggi che quando c’era il Patto di Varsavia si recavano tronfi ad abbracciare e baciare Jaruzelski, piuttosto che Honecker, oppure Breznev, in nome dell’orgoglio comunista e dell’Internazionale. Eppure anche allora come ora erano noti i dispotismi, i gulag, le tirannie, le carceri speciali, erano noti i sacrifici e i razionamenti imposti al popolo mentre l’intellighenzia marxista-leninista bivaccava. Loro, i comunisti nostrani, quelli seta e cashmere, mentre i carri armati schiacciavano la voglia di democrazia e libertà, a Budapest come a Praga, facevano i salotti benpensanti insieme ai romanzieri, filosofi, artisti e gli ideologi da sofà. Ecco perché oggi anziché dire che è morto un despota, un capo che seppure affascinante e acculturato, volitivo e suggestivo, ha ridotto alla miseria, alla paura, alla minaccia e al coprifuoco ideologico il suo popolo, lo commemorano amabilmente.
Insomma, è la solita litania della gauche italiana, che andava a Mirafiori in eskimo e finita l’arringa si cambiava in macchina per indossare il loden di cammello, le sciarpe di pashmina e il blazer di sartoria. Difficile se non impossibile che uno di loro, dei comunisti di vaglio e di potere, vivesse in ristrettezze e frugalità; quelle caratteristiche, ovviamente, le lasciavano al popolo. Parliamoci chiaro, la povertà e la disuguaglianza che dicevano di combattere è stata sempre la ragione della loro esistenza, ne avevano bisogno come il pane perché in un mondo più prospero non sarebbero esistiti. Ecco perché sono fasulli, inaffidabili e farisei, sono trasformisti e double face, ecco perché il cambiamento di cui parlano è solo una diabolica blandizie.
Bene, anzi male. Molti di loro voteranno “Sì”, sosterranno il “Sì” al referendum, vogliono la riforma Renzi/Boschi e tanto basterebbe per votargli contro. Tanto basterebbe per capire che le ali della libertà, dell’autodeterminazione e della democrazia, voleranno sempre sopra le loro ipocrisie obbligandoli alla resa. Se ne facciano una ragione mentre elogiano Fidel Castro, perché i cittadini non abboccano più e il 4 dicembre glielo farà capire.
di Elide Rossi e Alfredo Mosca