Si smentiscono

venerdì 25 novembre 2016


Ammesso che qualcuno nutrisse ancora il dubbio sul perché votare “No” a questa riforma costituzionale, la puntata di “Porta a Porta” di mercoledì scorso lo avrà definitivamente dissolto. Oltretutto il chiarimento, ed è questa la cosa straordinaria, è avvenuto per stessa ammissione dei sostenitori del “Sì” presenti in studio. Da Bruno Vespa, infatti, insieme a Matteo Renzi, la cui performance ha testimoniato l’utilità che il Premier ha tratto dalla vicinanza del comico Roberto Benigni, c’erano la ministra della Sanità Beatrice Lorenzin e il sindaco di Verona Flavio Tosi.

Bene, anzi male. Tosi, come fosse acqua fresca, ha detto di fronte a milioni di spettatori che gli Statuti speciali delle Regioni non sono stati toccati, perché altrimenti i senatori di riferimento non avrebbero mai votato alcuna riforma della Carta. Tradotto in soldoni, vuol dire due cose: la prima è che a quei senatori della riforma non interessava nulla di nulla, la seconda che la riscrittura della Carta nasce viziata da un veto intimidatorio. Parliamoci chiaro, per amor di Patria lo chiamiamo veto intimidatorio, ma è facile intuire che si tratti di qualcosa di molto più grave.

A titolo di commento ricordiamo che lo Statuto speciale di cui godono alcune Regioni, Sicilia in testa, è quella sorta di passepartout costituzionale che gli consente di spendere e spandere, porre e disporre, dire e fare a piacimento, senza che le istituzioni, Parlamento compreso, possano interferire. In buona sostanza, lo scudo costituzionale dello Statuto permette a queste Regioni di fare il bello e il cattivo tempo dei soldi pubblici. Non è un caso che proprio la Sicilia, dove i problemi di legalità sono quelli che sono, sia per i conti pubblici una fonte inesauribile di buchi neri di bilancio, contro i quali lo Statuto speciale impedisce ogni contromisura.

Bene, Flavio Tosi, con apprezzabile sincerità, l’altra sera da Vespa ha dichiarato che nulla si è potuto fare contro tale scelleratezza, perché i senatori eletti colà avrebbero altrimenti bocciato tutto e sfiduciato il Governo. Insomma, roba da fare drizzare i capelli sia di fronte alla sovranità popolare, sia di fronte al bene collettivo, sia di fronte alle ragioni di Stato che dovrebbero liberamente prevalere. Ma se questo non bastasse a illuminare i dubbiosi sulla necessità di respingere la riforma, Tosi ne ha aggiunta una, di motivazione, che non è meno allarmante della prima. Il sindaco di Verona, infatti, ha detto che i più grandi gruppi bancari si riservano di ricapitalizzare solo dopo l’esito del referendum, nel senso che se vincesse il “No” sarebbero dolori.

Ora, che il sistema bancario italiano sia quel che sia, che in questi anni gli scandali nel credito abbiano tenuto banco... che il Governo abbia in ogni modo aiutato il settore, la dice lunga sull’affermazione del sindaco Tosi e sul sostegno al “Sì” delle grandi banche. Tutto ciò in dispregio ed a dispetto dei cittadini clienti della Popolare di Vicenza, della Banca Etruria, Carimarche, Veneto Banca e via dicendo, che hanno subito imbrogli su imbrogli. Per non parlare del Monte dei Paschi di Siena, che è costato e costa alle tasche dei contribuenti una follia inaccettabile per via di operazioni scellerate che lo hanno condotto sul ciglio del baratro.

Insomma, dichiarare che il supporto di alcuni alla riforma Renzi/Boschi odori di bruciato non solo è lecito, ma conferma la pericolosa faziosità di una modifica che è per pochi e non per tutti. In conclusione, i limiti, le opacità, le forzature, che segnano la riscrittura referendaria, oltre ad indicare il rischio che correremmo approvandola, confermano ancora una volta che l’unica garanzia per tutti, per l’Italia, per la democrazia resta l’elezione popolare di un’Assemblea Costituente.

 


di Elide Rossi e Alfredo Mosca