“No” al Governo delle menzogne

mercoledì 23 novembre 2016


Il Governo, coincidendo con il fronte del “Sì”, è sempre più impegnato, in Italia e all’estero, nella campagna referendaria per sostenere la riforma costituzionale che lo stesso Esecutivo ha imposto al Parlamento attraverso la maggioranza che lo sostiene. E in questo suo enorme sforzo, sostenuto da quasi tutti i mass media, si presenta di volta in volta con moduli comunicativi diversi, che si evidenziano in tre filoni.

Tralasciamo il modello più rozzo e volgare, rappresentato al più alto livello dal ministro Maria Elena Boschi, insofferente ai dissensi (come è accaduto a “Otto e mezzo” con il professor Valerio Onida o durante l’incontro alla Casa d’Italia a Zurigo) e minacciosa, come a “Porta a Porta” dove, con atteggiamento padronale, ha affermato che “se vince il no, addio agli ottanta euro”, espressione che evidenzia, insieme alla grettezza, la logica di chi pensa di poter disporre delle risorse pubbliche per scopi clientelari. Uno stile che si commenta da sé e che denota un’arroganza non circoscrivibile alla sola Maria Elena Boschi e riconducibile allo spirito che anima tutto il Governo. È questo un comportamento che denota tutta la debolezza della proposta di una riforma costituzionale che non riforma, ma deforma.

Restano gli altri due filoni. Il principale è quello della personalizzazione del referendum, ovviamente rappresentato dallo stesso Presidente del Consiglio, che spera così di realizzare un plebiscito sulla sua persona, con l’idea di fondo d’inverare la riforma costituzionale su se stesso come uomo forte e solo al comando, come se incarnasse, hegelianamente, il Weltgeist, lo “Spirito del mondo”. Ogni ragionamento sul merito in questa modalità comunicativa è inopportuno: centrale è far passare il messaggio in base al quale tutto era fermo prima di lui, mentre ora la ruota del destino si è rimessa in movimento; lui è il futuro e tutti gli altri a lui avversi sono rivolti al passato; fermarlo sarebbe la catastrofe. Peccato che nei suoi mille giorni di governo le cose siano andate in modo assai diverso da come Renzi e i suoi cantori cercano di far credere.

Infatti, continua ad essere altissima la pressione fiscale, la disoccupazione è in crescita, la giustizia continua a non funzionare, la scuola è peggiorata, ininterrotte sono le ondate di migranti e in politica estera l’Italia è sempre più debole e isolata. E, allora, se, come vuole Renzi, il voto non deve essere sul merito della riforma costituzionale, ma su di lui, agli italiani non mancheranno gli elementi per dire “No”.

Parallelamente a questo filone si aggiunge quello, più raffinato ed insidioso, del ragionamento sul merito della riforma costituzionale. Interprete di questa linea, che intende consolidare la base favorevole alla riforma e a convincere gli indecisi, è il ministro Dario Franceschini. Quest’ultimo si affanna a spiegare (su “Il Messaggero” di domenica scorsa) che la Costituzione ha un valore di lunga durata, mentre il Governo Renzi vivrà fino al 2018 e poi si andrà al voto. Dunque, secondo Franceschini, il referendum non deve essere usato per dare una spallata al Governo; l’Esecutivo non è in discussione e quindi Renzi deve poter governare anche dopo la vittoria del “No”; egli non usa toni catastrofici se dovesse essere bocciata dagli elettori la riforma, ma afferma che la vittoria del “Sì” darebbe stabilità al Paese. Franceschini si muove con un discorso più prudente perché vuole prendere le distanze da Renzi, in quanto evidentemente non intende giocare il suo futuro politico lungo le orme tracciate da un leader che si muove come un giocatore di poker. A Franceschini non piace l’azzardo. E comunque, anche la sua linea comunicativa è ampiamente contraddittoria: innanzitutto, è stridente il fatto che adesso egli raccomanda la necessità di non dare giudizi secondo una logica contingente, quando, a suo tempo, nulla disse su una riforma tutta scritta sulla base dell’utilità contingente del Governo.

Insomma, gli italiani si trovano di fronte a diverse retoriche della maggioranza di Governo che, però, hanno un punto in comune: trasmettere non parole di verità, ma di menzogna.


di Pier Ernesto Irmici