sabato 19 novembre 2016
I sondaggi che circolano e le voci che confermano il netto vantaggio dei “No” sul referendum, li ha mandati letteralmente nel pallone e insieme al suffragio stanno perdendo la bussola. Nervosi, intolleranti, tesi, insolenti e più arroganti che mai, parlano sempre più a vanvera e quella che doveva essere secondo loro la “reginae viarum” del trionfo, si sta trasformando in un “calvario”.
Insomma, dopo aver strombazzato la necessità di entrare solo nel merito della riforma, loro per primi stanno riempiendo ogni occasione di minacce, accuse, intimidazioni e anche di molto peggio (vedi Vincenzo De Luca). Governo e maggioranza, infatti, da qualche giorno non perdono occasione per tentare di impaurire gli italiani sulle conseguenze della vittoria del “No”, spread, crolli dei mercati, sfiducia internazionale, fuga degli investitori e via dicendo.
Come se non bastasse, Matteo Renzi, in caso di sconfitta, paventa la più tragica delle instabilità, prefigurando il diluvio come unica conseguenza dopo di lui. Nessun governo tecnico, nessun esecutivo di scopo, nessuna maggioranza alternativa; insomma, se Renzi perdesse l’Italia finirebbe allo sbando e alla deriva… Siamo in buona sostanza all’utilizzo dell’ultima e più classica e ipocrita tecnica politica di persuasione collettiva, quella del timore, del buio oltre la siepe, del triangolo delle Bermude, della disperazione. Ovviamente non è così e non solo perché i precedenti di Brexit e di Donald Trump dimostrano l’esatto contrario, ma soprattutto perché, a partire dall’Europa, nessuno tifa per l’instabilità dell’Italia. La realtà è che sanno perfettamente di essere a un passo dalla sconfitta, dalle dimissioni obbligate, dal fallimento totale della loro esperienza di governo. Va da sé, infatti, che se, come è auspicabile, vincesse il “No”, non solo si eviterebbe una pessima e rischiosa riforma, ma si potrebbe finalmente chiudere questa negativa esperienza di governo.
È evidente come il “No” sia necessario non solo per respingere gli strafalcioni costituzionali di una modifica inutile e dannosa, ma per porre fine ad un Esecutivo che ha fatto dell’arroganza, della supponenza e dell’onnipotenza l’unica ragione d’essere. Le due cose che, piaccia o meno, non sono divisibili perché sono figlie di un certo modo di intendere la democrazia, la politica, lo stile di governo, ecco perché il merito si compenetra col pensiero di chi lo ha elaborato. Infatti, la riforma Renzi/Boschi non è, né potrebbe essere terza rispetto allo stile culturale, ideologico, personale, dei proponenti, ecco perché è passata a forza, con maggioranze minime, diktat e colpi di fiducia.
Del resto tre anni o quasi di governo hanno offerto ampia dimostrazione di un metodo che di rottamazione, innovazione, rivoluzione rispetto al passato ha poco o niente. All’Italia servono quelle scelte che l’ipocrisia, la debolezza, il senso di appropriazione della cosa pubblica, gli egoismi e spesso la disonestà della politica hanno disgraziatamente impedito. Solo così si rottama davvero, solo così si riparte, solo così si crea il futuro. Ormai la politica delle promesse, delle suggestioni radical chic e dei cenacoli cattocomunisti è finita e non regge più. Ecco perché la vittoria del “No” può essere la scintilla, il flash, l’inizio di quella stagione nuova che Brexit e Trump hanno appena avviato e che l’Italia aspetta da tempo.
di Elide Rossi e Alfredo Mosca