venerdì 18 novembre 2016
Dopo l’adesione e partecipazione come membri permanenti al Congresso Mondiale contro la pena di morte, i giovani avvocati dell’Aiga (Associazione italiana giovani avvocati) hanno partecipato alla “Marcia per l’amnistia, la libertà e la giustizia” dedicata a Marco Pannella ed a Papa Francesco.
Pur apprezzando buona parte dell’operato del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, soprattutto per quanto concerne la volontà di confrontarsi con tecnici e operatori del diritto per individuare soluzioni celeri, si è ancora troppo inermi dinanzi alla realtà carceraria italiana, intra o extra muraria. Strutture troppo spesso fatiscenti, sanità di serie b, disaffezione al proprio ruolo da parte degli operatori dell’area psico-pedagogica e di quelli della polizia penitenziaria, scolarità bassissima e incapacità di guardare al futuro: questa è la fotografia drammatica che si può ricavare leggendo i dati statistici che Antigone propone annualmente, al netto, si badi, delle gravissime patologie concernenti gli abusi, le torture, i decessi e/o i suicidi, l’utilizzo oltre ogni soglia di ammissibilità di psicofarmaci.
A fronte dell’immagine interna del carcere, inoltre, si deve sommare ciò che avviene al suo esterno: una giustizia penale a tratti elefantiaca, con una magistratura troppo spesso lontana, impegnata per lo più a combattere con numeri e statistiche di risultati; famiglie dei detenuti prive di un sostegno culturale che possa evidenziare la radice dell’errore e promuovere una diversa progettazione di vita; enti pubblici e aziende che rifiutano le disponibilità di lavoro offerta da detenuti o da ex detenuti; cultura del sospetto e dell’emarginazione sociale.
Partendo da questi dati, come Aiga avvertiamo da tempo la necessità che, anzitutto, si lavori per mutare la cultura giuridica e sociale sui concetti di giustizia, di sanzioni penali e di carcere; quindi, cultura e dialogo sulle regole, anzitutto. Nel terzo millennio non è ammissibile che si venda, ancora, la tesi della giustizia come vendetta, esaltando, da un canto, il senso d’impotenza e paura e il conseguente richiamo a facili populismi e rendendo, dall’altro canto, la giustizia debole se non, a tratti, inutile. Si deve agire affinché si insegni ai giovani, e si ricordi ai meno giovani, che la giustizia, intesa come un insieme di leggi scritte da cittadini per i cittadini, è il mezzo e il fine per far accertare i propri diritti e sanzionare coloro che li hanno violati. Occorre insegnare l’essenzialità del rispetto delle regole, anche e soprattutto nei confronti di coloro che le hanno violate perché possano acquisirne esempi positivi e forti e non esempi di elusioni di norme e regole.
Sono numerosi gli studi scientifico-statistici, infatti, con i quali si è appurato che ottime attività di rieducazione sociale hanno evitato, molto spesso, che i soggetti che le avevano seguite potessero successivamente commettere nuovi illeciti; mentre, si è verificato che l’assenza di tale attività, ha sollecitato e spinto ad incancrenire culture delinquenziali dentro e fuori dalle mura carcerarie.
In secondo luogo, formazione comune sul processo penale e sui diritti. Riteniamo oramai improcrastinabile imporre a tutti gli operatori di giustizia il medesimo percorso formativo: avvocati, magistrati e operatori di polizia giudiziaria, che quotidianamente si ritrovano nelle aule di giustizia, devono condividere anche il percorso di formazione pratico-teorica, sia negli studi legali sia nelle aule di tribunale, per avere comuni esperienze e comuni sensibilità anche in tema di diritti.
Infine, si può e deve attuare il concetto costituzionale di rieducazione sociale tramite l’educazione al lavoro. Esistono, oramai, molte attività di recupero sociale tramite il lavoro svolto, in forma cooperativa, dentro gli istituti penitenziari: attività di sartoria, di cucina, di impaginazione, di agricoltura finalizzate a creare dei beni materiali messi, poi, in vendita tramite store on-line (organizzati da associazioni e/o imprenditori non detenuti): i proventi, detratte le spese e i costi, servono per pagare stipendi e rendere qualificato il lavoro delle detenute e dei detenuti che, in tal modo, acquisiscono una competenza lavorativa e, al contempo, si confrontano con la realtà educativa del rispetto delle regole e della dignità propria e altrui. Percorsi straordinari basati sugli esempi positivi e virtuosi che partono dall’implementazione e sostegno delle attività di scuola e lavoro dentro il carcere.
Anche su questi aspetti di cultura sociale e giuridica, oltre che ad effettive riforme organiche del processo penale e dell’ordinamento penitenziario, crediamo che si debba partire per vincere la partita della legalizzazione degli istituti carcerari italiani.
(*) Segretario nazionale Aiga
di Tania Rizzo (*)