martedì 1 novembre 2016
Una prontezza da imitare, una superlativa presenza nei luoghi del dolore, una maestosità semplice di condivisione e vicinanza verso coloro che soffrono. Denunce senza appello verso negligenze, manchevolezze, assenza di risposte istituzionali. La Boldrini e la Boschi sono immediatamente in pole position per dare la loro testimonianza su tutto il territorio nazionale dove avvengono tragedie e disastri e dove si manifesta contro la violenza e il crimine. Un esempio da importare in ognuno di noi che vuole ergersi a giudice di coloro che compiono i peccati peggiori e che assumono comportamenti contrari alla convivenza civile ed all’amore verso l’altro appartenente al genere umano. Ma per le due donne più importanti delle Istituzioni della Repubblica la spada fiammeggiante della denuncia e della solidarietà non è sufficiente, per la semplice ragione che a loro primariamente spetta di operare, agire, intervenire, adoperarsi per tentare di risolvere i problemi della gente nei confronti di tutti coloro che disattendono al loro dovere, che mortificano, opprimono i cittadini che hanno diritto ad essere sostenuti e tutelati.
Da più di due anni ho segnalato ripetutamente, con voluminose documentazioni e fonti di prove ineccepibili, alle due nostre amabili icone del bene comune le allarmanti statistiche di mamme stuprate da una incerta “giustizia minorile”, che salgono le scale della morte, dovendo soccombere alle decisioni di un giudice minorile, che gode di immunità assoluta, e può agire sulla carne e l’anima delle persone come fossero un fascicolo d’ufficio. Il panorama delle responsabilità si tinge di reiterate omissioni, dolose negligenze, inettitudine delle decisioni; della supponenza omicida che consegna licenza per irrompere nel tessuto molle delle procedure, dei riti giudiziari, dei codicilli delle norme che annullano ogni responsabilità, amnistiando il dovuto equilibrio e la obbligata responsabilità, quando si interviene sulla vita di bambini e genitori. Attualizzando i fatti possiamo sostenere che vengono adottate proporzionalmente ai tempi e ai luoghi, metodologie da campi di concentramento di triste memoria e l’agire dei giudicanti di diversa qualifica, aventi il sigillo della scienza e della legge, è parallelo e omologo a quello delle “compagnie di disciplina”, che hanno sterminato gente inerme e riempito di sangue le pagine di storia.
Ci genuflettiamo davanti all’orrore dei bambini assassinati dalle guerre, trucidati dalla fame, deportati da trafficanti, morti nel viaggio verso la speranza, offesi dalla mancata accoglienza di alcuni, ma non possiamo neppure giustificare il silenzio colpevole per le sottrazione di minori, per l’espropriazione di figli all’affetto dei genitori basate soltanto sulle fallaci opinioni di qualche psicologo forense affetto da forme di megalomania, da forme deliranti di onnipotenza scientista, su qualche perizia c.d. tecnica redatta con qualche ora di colloquio e con il sistema del copia incolla, inondata di un fraseggio senza senso, tratto da letture frettolose dei sacri testi della psicologia, lontane dalle sofferenze dei bambini. Sovente il giudice minorile assegna incautamente valore scientifico a questi scritti (basterebbe riflettere sugli inevitabili errori della medicina, scienza più antica e superiore), che possono soltanto avere in molti casi la fine nel cestino.
Per comprendere la gravità e la crudeltà di queste assurde e barbare decisioni, che decapitano il genitore, privandolo del bene più grande quello dei figli, non si può revocare in dubbio la prevalenza nella decisioni di questi scritti c.d. tecnici assenti delle più elementari garanzie di valore tecnico. Numeri impressionanti che dovrebbero destare approfondite critiche e salvifici ripensamenti, come pure cresce la quota dell’indignazione che spingere alla rivolta. Ma tutto è silenzio, falso ordine e colpevole indifferenza, salvo finti appelli al bene comune da parte di coloro che si collocano al vertice delle Istituzioni. Un piccolo drammatico esempio: alla sottrazione del bambino alla mite madre è seguita la morte per infarto cardiaco fulminante del nonno materno a seguito della ferale notizia che l’adorato nipotino venga collocato in quei lager di Stato, conosciuti come Casa Famiglia, (dove purtroppo vanno i bambini abbandonati senza genitori).
La decisione è stata assunta secondo il volere del padre (la richiesta decorre dal 2012) che lamenta il mancato affetto del figlio, il quale vive uno stato di profonda paura verso il genitore che lo ha abbandonato all’età di 6 anni e più volte maltrattato. Il nonno e la nonna materni sono stati più volte denunciati dal padre del bambino. Una manifestazione di barbara e primitiva ingiustizia, perpetrata da genetica supponenza, da inaccettabile arroganza nella convinzione di aver fatto appello alle scienze umane e conseguentemente di aver applicato il dettato della legge, provocando lacrime e sangue. Madre e figlio sono entrati nella porta dell’inferno. Hanno usato metodi di costrizione, sottoponendo le vittime a subire le loro efferate prepotenze, con lo scopo di annientare le loro resistenze, per piegarli al loro delirante volere. Interrogatori forzati, sottoposti ad una disciplina feroce e crudele, con addebiti assurdi, imposizioni giornaliere e controlli a tempo; chiusi in una area di prigionia, con la ulteriore vigilanza dal maggio del 2013 degli investigatori privati, retribuiti dal padre del minore, come per i reclusi.
Inquisizioni per indagare e punire, mediante apposite verifiche giornaliere e dinieghi di ogni genere, con prescrizioni fonte delle loro apodittiche ortodossie. Processi sommari, solo per ottemperare al sostegno della capacità genitoriale e fornire un supporto psicologico. Uno sterminio attuato scientificamente in team per costruire condizioni di vita giornaliere capaci di causare esaurimento psicofisico. Un vertiginoso abisso di umanità. Madre e figlio sono stati resi nudi delle loro libertà, incatenati da inescusabili errori e negligenze, fiaccati da accuse e condanne con il fine sistematico della tortura psicologica fatta di formule prive di ragione. I morti parlano, sì i morti parlano a quelli che attendono le decisioni dei tribunali per gli invendicati insulti, che hanno il rispetto degli altri, ignorando i codici, a quelli che amano i bambini ogni oltre ragione e offesa. Conosciamo bene quelli che fingono di tutelare il supremo bene dei bambini e per questo non vanno odiati, non va provato disprezzo, perché non possono essere altro che quello che sono. Ogni sforzo è inutile, perché a loro viene consentito di comandare, ordinare, nonostante la loro pochezza e la loro ignorante crudeltà.
di Carlo Priolo