“Ti racconto la politica”

sabato 29 ottobre 2016


Cronaca di un Congresso (Capitolo 57 - Parte G) - Scattato l’orario della seconda convocazione e sciolti i capannelli appena fuori e appena dentro la soglia d’ingresso, la gente ha preso posto nella sala assembleare e il congresso è iniziato. In fondo, sopra il palcoscenico, c’è il tavolo dei relatori e a fianco, il podio dal quale prenderà la parola chi è già in elenco; più in basso, la platea è in attesa. È prevista anche la “sceneggiata” di dare la parola al pubblico, ma nei “tempi morti”, per pochi minuti e dal posto a sedere. Il primo a intervenire sarà un portavoce o la maggiore autorità presente del partito che, come sappiamo, è seduta nel posto centrale del lato lungo del tavolo che guarda gli astanti. Può capitare che si trasmetta un inno e si proiettino delle immagini. In platea, il silenzio è assoluto.

Il primo oratore si alza, esegue con un dito il solito “toc toc” sul microfono per confermare l’ok dell’audio, dunque avvia il più caloroso ringraziamento rivolto a tutti gli intervenuti che s’impegnano presto in un generale e fragoroso applauso. L’esteriorità è impeccabile; gli astanti, quelli che poco c’entrano con i veri “addetti ai lavori”, sono calati in un ambiente sobrio, elegante, etico... ma, come descritto nel capitolo n. 55, tutto è immerso in una ritualità che è stata prevista, anzi preordinata in passaggi che nulla affidano al caso... una sorta di gioco di “segnali” che si esprimono attraverso il linguaggio, la gestualità e i comportamenti. Dopo una serie di salamelecchi, il primo oratore entra finalmente nel vivo della questione. Com’è già affermato, stiamo “riprendendo” un congresso provinciale che voterà delle liste contrapposte (capitoli n. 38 e n. 42); viene da sé che ogni azione sarà indirizzata a “demolire” chi, nelle riunioni anche notturne del tavolo del preordino (capitolo n. 23), non ha permesso di pianificare un congresso a lista unitaria (capitolo n. 34).

Insomma, in mezzo a un fiume, anzi un oceano di nobili parole, effetti scenici, incessanti richiami all’etica, al bene del popolo e quant’altro, il principale scopo del congresso è riconfermare i vecchi dirigenti e semmai inserire qualche “fedelissimo giovane”, per simulare un po’ di “rinnovamento”; si tenterà di distruggere in ogni modo, perfino architettando denunce all’autorità giudiziaria, quanti non sono allineati. Esiste la diffusa convinzione popolare che il raggiro, l’inganno, la corruzione, l’ipocrisia e l’ignominia nascano nei palazzi delle istituzioni; detto malcostume ha invece una genesi più lontana che viene proprio dai congressi, dunque dai partiti politici. Da lì si dirama in ogni ente pubblico, fino alla più piccola amministrazione comunale o biblioteca rionale, secondo il voto di scambio (capitolo n. 28) e il manuale Cencelli (capitolo n. 30). La nostra democrazia è ormai diventata la facciata elegante degli inganni peggiori. Non è per caso se, nel gergo, i congressi sono chiamati “Mercati delle vacche” (capitolo n. 26).


di Giannantonio Spotorno