Per una identità della destra italiana

venerdì 14 ottobre 2016


Quello che mi ha colpito di più, nel colloquio con Jean-Marie Le Pen, è stata la spiegazione, semplice e lineare, che dà del consenso acquisito dal Movimento 5 Stelle tra gli elettori italiani. Lo ha definito “il ‘riflesso biologico’ dei popoli che non vogliono morire e manifestano il loro dissenso sul modo con cui sono stati governati fino adesso. È una reazione naturale, senza colore politico”. E chiarisce, dal suo punto di vista: “Il partito di Gianfranco Fini avrebbe potuto avere una grande espansione oggi, e diventare il beneficiario politico della crisi globale, così com’è stato per il Front, se Fini non avesse ‘pervertito’ quel movimento”.

Il senso di queste parole è che, nel mezzo della globalizzazione, cioè nel disordine generale di regole e di valori, la mancanza di ogni riflessione sul mondo che cambia, ha determinato una reazione di rigetto dell’insieme delle certezze politiche che hanno retto l’Europa e dei partiti che ne hanno incarnato la fede. In Francia, il rigetto si è espresso gonfiando il peso elettorale del Front National. In molti Paesi europei i movimenti populisti di destra ne hanno approfittato. In Italia, in assenza di una vera destra, il “riflesso biologico” ha premiato il populismo neutralista di Grillo, rigorosamente attento a non collocarsi a destra o a sinistra ma, di volta in volta, schierato, a seconda delle convenienze, a sinistra oppure a destra. Del resto, come sostiene Le Pen, il M5S non ha idee, positive o negative che siano, e vive sulle reazioni “difensive” che Le Pen chiama “biologiche”.

In mancanza di un aggiornamento delle idee e dei programmi, il M5S è destinato a incrementare il proprio peso elettorale, diventando l’unica vera alternativa al Partito Democratico e all’insieme dei partiti tradizionali. Per questo, accanto allo sforzo di Matteo Renzi che cerca di rinnovare la sinistra, a destra s’impone la ricerca delle nuove motivazioni, con le quali aggredire la crisi e descrivere i connotati della società del domani. In caso contrario, nel vuoto delle idee, la neutralità ideologica del movimento di Beppe Grillo rischia di marginalizzare tutto il resto.

Ernesto Galli della Loggia, qualche giorno fa sul Corriere della Sera, scriveva che l’Italia sconta l’assenza di una vera, effettiva, cultura conservatrice. In realtà, in quell’area, la crisi è molto più grave, perché la destra non difetta solo di cultura conservatrice, ma di ogni e qualsiasi tipo di identità. Infatti, se sulle questioni economiche le concezioni neoliberiste sono ormai patrimonio prevalente del governo Renzi, sui temi etici, la destra, che pur avrebbe da dire la sua, sbanda spesso e vistosamente, andando all’inseguimento di novità, come i cosiddetti nuovi diritti, che invece, per tradizione, sono il patrimonio e la bandiera della sinistra.

Che fare? Gli argomenti identitari della destra italiana non possono che essere i soliti, quelli di sempre. Quelli che si legano alla tradizione e al patrimonio culturale e storico della nazione. Tra questi svetta, ancora una volta, la difesa intransigente della struttura famigliare. A qualcuno potrà sembrare un argomento vecchio, ascrivibile alla retorica clericale, ma non è così. Se è assodata l’idea che il matrimonio è profondamente mutato, la struttura famigliare invece non può mutare e deve restare quella tradizionale, formata cioè da un uomo e una donna, capaci di accogliere i bambini nati da un uomo e da una donna. Così concepita la struttura famigliare non può che essere un istituto di valenza sociale, l’architrave della società, di cui la comunità non può fare a meno, così come avviene, guarda caso, nel mondo musulmano.

La crisi dell’Occidente è soprattutto demografica. La denatalità incoraggia le migrazioni economiche verso l’Europa e condiziona le politiche di welfare degli Stati. L’Italia, con un livello di denatalità tra i più alti d’Europa, risente più di altri delle conseguenze di questa crisi. Per questo, la promozione di una vera politica in favore dell’istituto famigliare, oltre che essenziale per l’equilibrio della previdenza (la solidarietà tra le generazioni), diventerebbe identitaria per chi si schiera a difesa dell’identità della nazione. Il tema è ricco di implicazioni sociali.

Le politiche sulla parità di genere, sono una giusta conquista del mondo femminile e del diritto. Tuttavia, il processo di “femminizzazione” dell’economia e della società non è senza conseguenze, sia sul piano economico che sociale. Il cambiamento dei connotati della famiglia italiana imporrebbe l’adozione di un pacchetto di provvedimenti “a difesa” della famiglia. Assegni coniugali, benefici fiscali, trattamenti pensionistici speciali per chi ha dedicato la propria vita ai figli piuttosto che al lavoro, aiuti per chi fa la scelta di ridurre parzialmente o totalmente la propria attività professionale per occuparsi dei nuovi nati. E, perché non pensare ad assegni speciali per le madri, per il solo fatto di aver scelto di essere madri, considerato che assolvono una funzione affettiva e lavorativa degna di riconoscimento da parte della comunità?

Il Movimento 5 Stelle propone il reddito di cittadinanza. La proposta di un reddito di “discendenza” mi pare altrettanto meritevole, se non di maggiore considerazione sociale. Ci vogliono le risorse. Ma, perché non si confrontano i costi che gli enti locali sostengono annualmente per l’assistenza pubblica agli infanti e ai bambini? Asili, trasporti, maestre d’asilo, insegnanti di sostegno, sedi, scuole, mense, ausili didattici. La verità è che troppo spesso il sistema si è preoccupato di tutelare le posizioni più forti, quelle protette, sindacalizzate: i lavoratori e i pensionati innanzitutto, lasciando indietro gli altri. Ma, per questa strada, senza il mantenimento di adeguati livelli di natalità, a rimetterci domani saranno proprio le pensioni degli ottantenni e la comunità nazionale, nel suo insieme, che rischia di perdere la sua identità.


di Guido Guidi