Cipria e cerone non bastano più

giovedì 13 ottobre 2016


Come da copione il ministro Pier Carlo Padoan ha presentato agli uffici parlamentari del bilancio la manovra economica e come da copione si è ripetuto il rito delle previsioni ottimistiche (a dire poco) delle cifre positive sul futuro. Va da sé che il ministro null’altro poteva fare se non caricare di enfasi suggestiva gli esercizi di calcolo macroeconomico sull’avvenire del Paese.

Ovviamente noi la vediamo diversamente e di certo non per gufare a prescindere, ma per quel buon senso del padre di famiglia che, tutti i mesi, fa di conto indipendentemente dalle sviolinate fornite dall’Istat. Comunque sia quello che è certo è il fatto di aver perduto ancora una volta la possibilità di predisporre una manovra d’urto in grado di scuotere sul serio l’Italia. Sarebbero serviti, infatti, quel coraggio e quella volontà di prendere il toro per le corna per mettere mani e soldi dove andrebbero messi. Al contrario, vuoi per gli sbagli e gli sperperi fatti in questi tre anni di governo, vuoi per l’incombenza del referendum, vuoi per salvare la faccia, ci si è ridotti ad una manovra che non produrrà nulla se non altri guai. Del resto basta fare i conti per concludere che da quando c’è Matteo Renzi, fra bonus di ottanta Euro, Jobs Act, elargizioni a pioggia e contentini vari, si sono spese svariate decine di miliardi di euro che non hanno cambiato nulla se non l’entità negativa del debito pubblico.

Come se non bastasse, sul fronte della revisione della spesa si è insistito con operazioni di lifting e di semplice maquillage che, naturalmente, non hanno incrementato la capacità di propulsione economica. Si tratta insomma di risultati talmente scontati da suscitare l’incredulità e il sorriso, se non fosse che il Paese è sempre più in crisi e vicino al limite di tenuta. Se, infatti, dal suo insediamento Renzi avesse cominciato a rottamare non solo D’Alema ma un sistema di spesa pubblica vergognoso e insostenibile, oggi ci troveremmo a fare ben altre considerazioni. Parliamo di diritti acquisiti che, per come sono, definirli ancora “diritti” fa venire la pelle d’oca. Ci riferiamo alle pensioni d’oro, ai vitalizi, agli stipendi di alcuni organismi di Stato, ai vantaggi di carriera pubblica, ai privilegi dell’impiego statale. Per non parlare degli Statuti speciali delle Regioni che consentono sperperi paurosi ed ai quali incredibilmente non si è messo mano nella riforma referendaria.

Da ultimo, giustizia e fiscalità che non si sono nemmeno sfiorate, se non con provvedimenti a dir poco marginali, improntati solo all’effetto elettorale piuttosto che a quello sostanziale. È, infatti, nota a tutto il mondo l’importanza economica del malfunzionamento di settori chiave come la giustizia e la fiscalità. Da noi questi due segmenti per lentezza, litigi, complicazione, sono talmente esasperanti da condurci a parlare di “giustizia ingiusta”, “fisco ossessivo” e chi più ne ha più ne metta. Oltretutto giustizia e fiscalità in Italia s’intersecano con un sistema di burocrazia immenso, inutile e inefficiente, generando così un combinato disposto da vera e propria bomba sociale. Ecco perché le manovre contentino di Renzi, o quelle spremItalia di Mario Monti, non funzioneranno mai, se non si recide l’origine del male le recidive dilagheranno sempre. Se Renzi fosse stato un vero e coraggioso statista è su tutto ciò che avrebbe dovuto incardinare la riforma costituzionale, fisco, giustizia, Statuti speciali, privilegi acquisiti, disparità pubblico/privato, insomma sullo smantellamento di un sistema Paese che non regge più.

Questa è una ragione aggiuntiva per votare “No” al referendum prossimo. Ecco perché aver perso altri tre anni null’altro ha significato che stringere ulteriori giri di corda intorno al collo dell’Italia. Quella corda va tagliata e va tagliata prima che ci strozzi, visto che il Quantitative easing della Banca centrale europea non sarà eterno e Mario Draghi tra un anno sarà sostituito da un tedesco. Per questo la manovra è inutile e al massimo servirà a prendere un po’ di tempo, ma continuare a sprecarlo così scelleratamente sta diventando un gioco troppo pericoloso.


di Elide Rossi e Alfredo Mosca