mercoledì 12 ottobre 2016
Ci vuole una bella cura dimagrante dello Stato, la riduzione drastica delle sue competenze e della sua capacità di ingerenza negli affari dei cittadini. I cosiddetti diritti sociali sono divenuti un vero e proprio potere che gli pseudo rappresentanti del popolo esercitano sul e contro il popolo stesso, attraverso una burocrazia invasiva ed una fiscalità punitiva.
La sinistra, oggi al governo illegittimamente, è fautrice di un sempre maggiore interventismo pubblico. Ci vuole, al contrario, l’invocata rivoluzione liberale di gobettiana memoria, non più Stato ma meno Stato che significa meno socialità pubblica. I cittadini e la società civile devono oggi rivendicare con forza di votare secondo democrazia (cosa fino ad ora impedita), a difesa dei propri diritti di libertà sullo Stato, la burocrazia e il fisco.
La non-riforma costituzionale, che il terzo governo illegittimo di Napolitano (Renzi) vuole estorcere così come ha fatto finora a forza di fiducie - consenziente un Parlamento dichiarato dalla stessa Corte costituzionale per tre quarti incostituzionale - di fatto accresce e aumenta a dismisura i poteri pubblici trasformando i cittadini in sudditi. Si guardi alle Province mai abolite: si votano da sole elargendosi stipendi pubblici in questi giorni, prendendo i soldi dalle tasse sempre in crescita ed esose appioppate ai cittadini vessati. Proviene dal fascismo questa (in)cultura della sinistra comunista e dall’ipocrisia e doppia morale cattolica.
Renzi, ovvero il Napolitano ter, cioè il terzo governo non eletto (dopo Napolitano/Monti uno e Napolitano/Letta due) né voluto dagli italiani sta aumentando in maniera esponenziale - esasperandola - la crisi in cui si trova l’Italia, accrescendo ulteriormente non solo la tassazione ma ogni propensione statalistica, di fatto facendo perdere tempo utile e annullando ogni possibilità di ripresa italiana. Come diceva Benedetto Croce, bisogna tornare ad “un periodo di generale prosperità dell’economia, bisogna che l’Italia colga appieno lo spirito di intrapresa, si riprenda l’ardimento e il correlativo distacco dalla vecchia tendenza alla proprietà immobiliare, alla rendita di Stato e agli impieghi statali”. Una società progrediente cioè, in cui l’azione delle forze economiche si consolida mediante l’integrazione nella cornice di istituzioni che mirano a includere i nuovi soggetti politici e sociali. Un universo liberale italiano, insomma.
L’economia è il motore dell’ascesa e dello sviluppo, oltre che del benessere di tutti, dell’intero Paese. È necessario fondere politica, istituzioni, crescita economica e civile in una riuscita tessitura unitaria. Lo Stato ha invaso oggi ogni piega della vita economica del nostro Paese e ne ha spento la vitalità e la libertà. La politica che permea di sé e si intromette nel gioco economico, ora come allora, ha avuto l’esito di protrarre le crisi che si risolverebbero mediante un riequilibrio spontaneo delle relazioni di mercato libero. In Italia oggi si è “dopati” dai soldi della Bce che, comunque, non arrivano neanche dalle banche poiché queste li fagocitano e trattengono.
L’Italia di oggi non è liberale, non vi è alcuna traccia di liberismo economico se non nelle imprese cosiddette intermedie che, per lo più esportando, “resistono” ed emergono tra mille difficoltà. Einaudi scriveva che dopo la Grande guerra “i nemici della cosa pubblica ebbero allora la via libera per il loro disordinato confuso arrembaggio alla fragile nave che portava il pubblico danaro”. Mutatis mutandis è la sinistra che impedito il voto libero e democratico, impadronitasi illegittimamente del potere di governo, depreda e arraffa, dissipa il denaro pubblico. Ma se non c’è libertà economica entra in crisi anche la libertà politica. Difatti è regime. Lo sviluppo è con l’impresa che cresce senza le provvidenze statali e le mediazioni politiche atte a procurarsele. È sempre stata presente e viva tra noi, nonostante e contro tutti gli imbrogli, le tendenze e i fatti antiliberali d’Italia. Il progresso sociale ed il mercato efficace che funziona può esistere ed è proprio solo dell’Italia liberale. Lo Stato ha invaso ogni ganglo della vita economica del nostro Paese, incenerendolo e spegnendo ogni vitalità e libertà. Controlli su tutto, non giustizia persecutoria e latrante, sulla produzione e sugli scambi, e imposizione di leggi (decreti a iosa) cui l’economia deve obbedire.
Sono da cacciare e licenziare subito gli “esperti”, i tecnocrati, i burocrati, i politici, i cosiddetti “padreterni orgogliosi persuasi di avere il dono divino di guidare i popoli nel procacciarsi il pane quotidiano”, scriveva lo stesso Einaudi. Hanno la pretesa di governare l’economia quando, al contrario, sono “ignoranti di fronte al più umile produttore, il quale rischia lavoro e risparmio nelle sue intraprese” senza avere bisogno della tutela di nessuno. L’economia dell’Italia non va certo diretta quanto piuttosto essere liberata da ogni bardatura, ostacolo e impedimento pubblico statale, per vedere restaurata la propria normalità. Purtroppo in Italia è l’esatto contrario con l’attuale perniciosa burocrazia statale, che mantiene la sua autorità e le sue prerogative con le conseguenze nefaste sotto gli occhi di noi tutti. Burocrazia e politica hanno imposto e voluto sostituirsi alle forze di mercato, e questo è il risultato. Grande industria e banche hanno celebrato un matrimonio d’interesse tutto ai danni dei piccoli produttori che sono stati da sempre la struttura portante dei circuiti economici in Italia.
Ci si liberi di governi e burocrazia, bisogna lasciare che gli italiani possano lavorare ed arricchirsi senza lo Stato tra i piedi. In Spagna non c’è il governo da tanto tempo e l’economia corre, il Paese prospera. Qui ancora si mette in discussione il sacrosanto diritto degli italiani di esprimersi col voto democratico. Si voti al più presto, bisogna fare tabula rasa dell’incubo politico, economico istituzionale e sociale in cui ci ha gettati Napolitano con Monti, Letta e Renzi. L’Italia ce la farà, alla grande.
di Francesca Romana Fantetti