L’intervista a Jean-Marie Le Pen

martedì 11 ottobre 2016


Mi riceve nel suo studio di Saint-Cloud, a due passi da Parigi, su una collina da dove si ammira tutta la Ville Lumière. L’appuntamento è in ritardo perché Jean-Marie Le Pen, ottantotto anni, ha voluto presenziare alla prima udienza del Tribunale di Nanterre, dove si discute della sua espulsione dal Front National, di cui è stato fondatore nel 1972 e presidente onorario.

“In che cosa posso esservi utile?”, esordisce sorridente e piacevolmente incuriosito dalla presenza del duca Antonio Moccia di Ferrazzano, un suo amico che mi accompagna. Non posso che partire con un ricordo personale, quello di Marco Pannella che, pur laureandosi in Italia all’Università di Urbino, ha trascorso diversi anni a Parigi, da studente. Ricorda Le Pen: “L’ho conosciuto quando avevo 20 anni. Ero dirigente dell’Unef. Siamo stati intimi. Marco abitava in via Giovanni da Procida. Sono stato a casa sua. Ho conosciuto i suoi genitori e sua sorella. Conservo una foto che ci ritrae da ragazzi. Nonostante fossimo di idee opposte, siamo rimasti amici fraterni, al punto che, quando ci vedevamo al Parlamento europeo, ci abbracciavamo. Ero in disaccordo su tutto con lui ma mi piaceva molto, perché intelligente, colto, caloroso. Aveva una qualità insostituibile: era un amico di gioventù, di quelli che dopo i trent’anni non s’incontrano più”.

Jean-Marie Le Pen non è di poche parole. Si capisce che, se fosse per lui, potrebbe dedicare tutta la conversazione all’Italia. Sono io allora a dirottarlo sulle dolorose attualità del tempo presente. Parto chiedendogli quali sono le ragioni della repentina irruzione dei partiti di estrema destra in tutta Europa. Sul punto, c’era da aspettarselo, la sua non è una risposta ma una relazione. Esordisce: “Sono estremamente pessimista a breve termine, breve termine, perché un’ondata demografica vertiginosa è alle porte. Vladimir Putin ha detto che la popolazione russa diminuisce di un milione di persone all’anno. Per questo ha dovuto prendere alcune misure che il Front National sostiene da più di 40 anni, come l’introduzione del salario famigliare e il salario di maternità. Le donne che hanno figli devono poter essere considerate come lavoratrici e devono aspirare ad un salario e ad una pensione, per il semplice fatto di essere mogli e madri. Invece da noi le donne si sono orientate verso le professioni, che svolgono allo stesso livello degli uomini, spesso superandoli. Al Tribunale di prima istanza di Nanterre mi sono trovato di fronte il Procuratore della Repubblica donna, il cancelliere donna, tre giudici donne. Questo non è equilibrio. Lo stesso succede nell’insegnamento, dove c’è una “femminizzazione” che non è sempre sinonimo di dinamismo delle nostre società. Siamo una società che sta invecchiando. L’aumento delle aspettative di vita maschera alcune forme di “dispersione vitale” (déperdition vitale). La popolazione resta stabile, ma l’età media non è più la stessa. L’età media in Algeria è di 18 anni. In Francia di 43. L’Algeria è passata, in cinquant’anni, da 8 a 43 milioni di abitanti. Tra vent’anni saranno 70 milioni. Hanno una sola risorsa, il petrolio ricevuto in regalo da De Gaulle. Ma non basta. Questi Paesi non avranno altre vie di scampo se non l’Europa. Nel 1974 c’è stato un discorso all’Onu del Presidente Houari Boumédiène che già allora metteva in guardia: i tempi sono prossimi. I popoli affamati del sud andranno all’assalto delle città ricche del nord. Non ci verranno armati e con il casco. Verranno a mani nude, e il nostro cervello non è abituato a contrastare chi chiede aiuto e pietà. Ma non sarà un’immigrazione pacifica e fraterna”.

“Sono pessimista perché non c’è più tempo – continua Le Pen – Il Generale McCarthy ha scritto un libro di due parole Too Late: troppo tardi. Due parole che spiegano tanti fallimenti. Aver saputo troppo tardi, aver capito troppo tardi, aver agito troppo tardi. Quando il Front National arriva al massimo del consenso, la sua Presidente esclude suo padre”. In questo modo Jean Marie Le Pen mi porta direttamente sulla vicenda politica e familiare, che gli pesa come un macigno. Dice ironicamente di aver letto un libro thriller su una vicenda che si svolge in Italia 40 anni prima di Cristo. È la storia del triumvirato di Pompeo, Crasso e Cesare, che si chiude con una guerra civile. “Il libro si chiama Dictator - ricorda - libro poliziesco storico”.

Con un velato riferimento familiare continua: “So che è la civilizzazione cristiana che ha creato l’Europa. Ha formattato il mondo politico, economico, culturale e sociale. Ma, l’affaiblissement della religione cristiana ha portato via con sé l’insieme delle strutture sociali che facevano riferimento a quei valori”.

Nonostante le premesse, insisto e gli dico che in ogni caso lui le prossime elezioni non potrà che votare per sua figlia Marine. Ma, di rimando, replica: “Non so per chi voterò. Io sono escluso. Mi ha fatto escludere da un anno. È scioccante. In tutti gli ambienti questo non sarebbe perdonato. Nemmeno nel mondo musulmano o ebraico. È come quando una zattera parte dalla Libia piena di migranti. A un certo punto c’è uno che dice: il nonno puzza dai piedi, buttiamolo in mare. Mi ha fatto un processo su una dichiarazione che ho reso, ovvero che le camere a gas sono un dettaglio tra i milioni e milioni di morti della Seconda guerra. Una cosa evidente, che è giudicata un’affermazione odiosa. In Francia si può applaudire solo per ciò che è politicamente corretto. Non si ha il diritto di dubitare. In Francia si può non credere in Dio, ma non si ha il diritto di non credere alle camere a gas. Penso che con la mia esclusione Marine abbia fatto una brutta azione e un cattivo affare. Penso che indebolisca il Front, per questo le chiedo di ristabilire l’unità, o di incarnare lei l’unità del movimento. Se non lo farà non sarà eletta e forse non andrà nemmeno al ballottaggio. Marine ha fatto un parricidio politico e ritengo che l’abbia fatto senza alcuna giustificazione, semplicemente per cercare di diminuire l’ostilità degli avversari, ma così facendo fa solo un piacere all’avversario”. Un fiume in piena. Cerco allora di spostare il tiro sull’Italia, chiedendogli se conosce il Movimento 5 Stelle. Mi risponde, prontissimo: “È una reazione naturale. Un ‘riflesso biologico’ dei popoli che non vogliono morire e manifestano il loro dissenso sul modo con cui sono stati governati fino adesso. Il Movimento 5 Stelle non ha colore politico. Ha il 30 per cento. Ma cosa ne fa? Con quali idee? Questo è il problema. Si tratta di una reazione istintiva di ostilità alla situazione attuale. È successo che in Italia c’era un movimento di destra, che è stato “pervertito” da Gianfranco Fini. Quel movimento avrebbe potuto avere una grande espansione e diventare il beneficiario politico delle odierne dinamiche mondiali, com’è stato per il Front in Francia. Ma il movimento è stato tradito da Fini ed è sceso al 2-3 per cento. Questo vuoto è stato colmato da Beppe Grillo”.

Gli chiedo se vede un futuro per il M5S. Mi risponde: “Tutto dipende dalla capacità del suo leader. Se sa andare oltre la protesta. Se saprà elaborare una proposta politica. Non è nato sulle idee, siano esse positive o negative, ma solo su una reazione di difesa, direi quasi di natura biologica. Non so quale uso verrà fatto di questo slancio. È soprattutto uno slancio di rigetto verso la società politica attuale. Tutto dipenderà dalla circostanza se i suoi dirigenti saranno dei ‘franco tiratori’ o se sapranno prendere una direzione di marcia precisa”. La conversazione con Jean Marie Le Pen finisce là dov’era iniziata, tornando al Bel paese. Confessa di essere molto legato all’Italia, di cui ammira molte cose: la sua bellezza, la perfezione dei suoi confini, il modo di stare a tavola, i paesaggi che rappresentano la sua identità.


di Guido Guidi