sabato 17 settembre 2016
Giornata convulsa quella di giovedì a Palazzo Senatorio: i ben informati descrivono una Virginia Raggi particolarmente agitata per il post di Roberta Lombardi con il quale la parlamentare pentastellata criticava neanche troppo velatamente l’operato della sindaca di Roma. La quale, sull’orlo di una crisi di nervi, ha chiamato Beppe Grillo pretendendo un post a sua difesa da pubblicare a stretto giro sul suo blog. Sotto minaccia di dimissioni, il post sul blog di Grillo è arrivato rasserenando l’umore della Raggi che, a fine serata, è apparsa tranquilla e soddisfatta: “Beppe mi ha difeso, ora anche gli altri lo capiranno”.
Sullo sfondo l’ombra funesta della scarsa eco provocata dal post del comico genovese che non ha ricevuto i “like” dei big Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio i quali non lo hanno nemmeno condiviso sulla loro bacheca. Verrebbe da ridere dopo questa cronaca se non fosse che la democrazia esercitata su Facebook fa veramente piangere. Ci saremmo aspettati di poter parlare di viabilità, scuole, servizi sociali, rifiuti mentre invece raccontiamo di fibrillazioni nate da post, tweet, like, retweet ed accozzaglie simili pronte a squassare un equilibrio fragile che si regge su una connessione ad Internet.
E sarebbe questa la democrazia della Rete? Quella dei post sparati nell’etere che possono fare e disfare una giunta comunale? Ha proprio ragione Carlo Freccero quando dice che il Movimento Cinque Stelle si muove nella post-democrazia post-ideologica più emotiva che razionale e che non esiste più la politica ma è la comunicazione a plasmare la vita amministrativa del Paese.
Qualcuno li ha definiti “barbari chattanti” calati nei palazzi seguendo l’utopia del clic ma, belle definizioni a parte, a tutto c’è un limite da non valicare. Mentre costoro giocano col personal computer c’è una realtà fatta di problemi reali, di cose concrete con cui invece bisognerebbe misurarsi. Qualcuno afferma che il nuovo corso della politica l’avrebbe migliorata sviluppando più controlli, più informazione e più democrazia diretta. A noi pare che l’inconsistenza navighi in Rete mentre i cittadini navigano nelle strade allagate o nell’indigenza provocata da una incessante crisi economica. Cominciamo a sospettare che la politica chattata sia inversamente proporzionale all’efficacia dimostrata dai governanti: d’altronde anche Matteo Renzi twitta molto e combina poco a differenza della signora Angela Merkel, la quale preferisce i fatti in luogo dei post compulsivi su Facebook. Anche Barack Obama adora Twitter e si vede da come funzionano gli Usa mentre, per esempio, Vladimir Putin preferisce prendere decisioni piuttosto che cazzeggiare sui social network.
Viene da chiedersi se la “cybercompulsività” non sia un utile metodo di selezione della classe dirigente.
di Vito Massimano