martedì 6 settembre 2016
Le tre giornate del 40esimo Congresso straordinario del Partito Radicale sono state importanti per due motivi: questo congresso è stato il primo a svolgersi senza la presenza del padre radicale Marco Pannella; il secondo è che non era mai capitato che un partito politico avesse tenuto il suo congresso in un carcere. Ormai da decenni, gli istituti penitenziari sono luoghi in cui non si fa più politica, ma spazi in cui le scelte politiche si subiscono e basta. I detenuti continuano a protestare, ma le loro voci, o meglio le loro grida, non vengono ascoltate all’esterno, se non da pochi. La maggioranza della società civile sceglie di non occuparsi di carcere, e rimane vittima di un pensiero che accompagna l’uomo fin dall’inizio della storia: il male va rinchiuso, allontanato e dimenticato. Restando così accecata nella convinzione che solo in tal modo si può essere al sicuro e si può andare avanti.
La scelta del Partito Radicale di usare gli spazi del Carcere di Rebibbia per i dibattiti congressuali ha però un precedente. Nel 2009, infatti, era stata l’associazione “Nessuno tocchi Caino” la prima in assoluto a ospitare nella Casa di Reclusione di Padova i dibattiti del suo IV Congresso. Questa decisione eliminava in un modo del tutto nuovo le barriere tra il mondo esterno e l’universo carcerario. Poiché, per la prima volta nella storia italiana, ai detenuti era data la possibilità di essere partecipi di qualcosa che, sebbene a loro rivolta, riguardava la società, tutta la società. In questo modo, almeno per poco, scomparivano le mura e si era tutti insieme. Non c’erano i buoni, né tantomeno i cattivi. Rimanevano solamente dei cittadini, uniti dal desiderio di cambiare le cose, spinti dai valori della democrazia, che nella sua radice racchiude la parola demos, che vuol dire popolo, e che per definizione non contempla distinzioni.
Durante il congresso di Rebibbia si è ricordata la vita di Marco e il Partito Radicale ha poi intrapreso una sua strada. Come la storia ci ricorda, in numerose occasioni, alla morte di un leader sono necessarie scelte difficili e per molti sofferte. Per uno come me, giovane e neoiscritto, che non conosceva Marco di persona e che al Partito si è avvicinato solo in tempi recenti, è stato interessante seguire i dibattiti ed essere partecipe di questo fondamentale momento di passaggio. Tuttavia, non poteva esserci in me, la presunzione di esprimermi con termini decisivi su quale dovesse essere la scelta migliore da intraprendere. Nei giorni precongressuali ho comunque riflettuto molto su cosa sarebbe accaduto e, forse, su quanto sarebbe dovuto accadere.
Più volte negli ultimi mesi, mi ero infatti domandato se Marco se ne fosse andato via felice. Chiedendomi più volte, se nel momento in cui chiuse per sempre gli occhi, tutto ciò che lui diede, tutta la fatica che provò per le battaglie vinte o ancora in corso, se tutto il peso che sentì sulle sue spalle nel lottare per dei valori che ai più sono stati sempre secondari, l’avesse confortato. Nella mia incapacità di comprendere la sua persona nel profondo, l’unica risposta che mi sono potuto dare è che Marco abbia lasciato a tutti un compito: continuare in tutto ciò che lui ha cominciato. Penso che a lui non importasse la forma e il modo tramite cui continuare le sue battaglie e le sue lotte nonviolente. L’importante era non smettere.
Ora che il congresso è finito, indipendentemente dalla via che è stata votata a maggioranza dai congressisti, ritengo che Marco sarebbe stato fiero di ciò che è accaduto durante i tre giorni del congresso. E dico questo con piena convinzione, poiché, anche se ci sono stati accesi scontri, questo congresso rappresenta la manifestazione per la quale oggi noi stiamo proseguendo nel suo percorso, inseguendo la sua eredità. L’aver tenuto il congresso nel carcere di Rebibbia ne è la chiara dimostrazione. Le cose non cambieranno domani, le cose cambiano oggi, qui e subito, avrebbe detto lui. Il Partito Radicale è l’emblema di questo pensiero. Fin da quando ho scoperto l’esistenza di questo Partito, mi ci son affezionato immediatamente, perché lo scopo del Partito Radicale è cambiare le cose. Le difficoltà che verranno nei giorni e nelle settimane future non riusciranno mai a mutare questa realtà. Qualsiasi fosse stata la strada intrapresa, i Radicali in quanto tali, avrebbero comunque continuato a battersi per i deboli, per gli emarginati, per tutti coloro i quali la maggior parte della società sceglie di non occuparsi. E qualora non ci pensassero i Radicali, se non ci pensassimo noi, non lo farebbe nessuno.
Certo, la strada è ancora lunga. Ci sono ancora troppe parole e troppi pochi fatti. Si pensi ai numerosi ergastolani iscritti al Partito a cui non è stato consentito di partecipare. Questo, mi fa pensare che gli ostacoli che si frappongono sulla strada per lo Stato di diritto sono ancora difficili. Ma io, essendo ottimista per natura, penso che non ci si debba soffermare su ciò che appare negativo. Tutti gli ergastolani a cui è stata negata la presenza, hanno comunque mandato i loro saluti e sono sicuro che per i tre giorni del congresso abbiano seguito con attenzione i dibattiti su Radio Radicale: allora è un po’ come se fossero stati insieme a noi. È indispensabile, quindi, concentrarsi su quello che di positivo esiste. Chiedetevi, vi è mai capitato di assistere, per tre giorni di fila a un evento svoltosi in un istituto penitenziario che abbia raccolto e unito detenuti insieme ad avvocati, giornalisti, politici, autorità, attivisti per i diritti umani e membri della società civile?
E qualora non siate convinti del cambiamento in atto, soffermatevi sul carcere di Opera! Storicamente una prigione dura, intransigente e chiusa. Oggi rappresenta il luogo da cui è nato il progetto Spes contra spem, che più che un progetto, a me piace sia visto come un laboratorio itinerante che sta facendo il giro delle carceri italiane. È un lavoro che si fonda sull’idea di Marco: prima che l’avere speranza occorre essere questa speranza, bisogna indossarne le vesti. Quindi crederci davvero! E questo hanno iniziato a fare alcuni detenuti; operazione tutt’altro che facile, ma ci sono riusciti raggiungendo in maniera compiuta questa consapevolezza.
Nel dicembre 2015, alla nascita di questo percorso durante il VI congresso di “Nessuno tocchi Caino”, Marco si trovava a Opera. I detenuti, quando prese la parola, lo applaudirono calorosamente, tantoché alla conclusione, quando non volle più lasciare il microfono, nessuno trovò il modo di interromperlo e continuando i detenuti ad applaudirlo Marco intonò il motto dei radicali a cui subito i detenuti stessi si affiancarono. In quell’occasione si creò un bellissimo spirito di condivisione e guardando negli occhi i presenti io, uno tra il pubblico, ho percepito un nuovo tipo di speranza, ho percepito il cambiamento.
In questi tre giorni ci siamo trovati a Rebibbia. Prima eravamo a Opera, poi a Voghera e dopo ancora a Parma. Tra qualche giorno al festival del cinema di Venezia verrà presentato il docufilm di Ambrogio Crespi “Spes contra spem” che documenta le vite di chi ha percorso questa difficile via. Saranno presenti alcuni ergastolani ostativi, quelli, che fino a qualche anno fa, nell’anno 9999, scritto sulla loro condanna venivano costretti a leggere la fine di ogni speranza o di una qualsiasi prospettiva alternativa di futuro. Questo significa che davvero le cose stanno cambiando. Non tutti rimarranno soddisfatti di come il congresso si è concluso, e io mi voglio rivolgere a queste persone chiedendo loro di mettere da parte ogni eventuale rancore perché le cose non sono andate come volevano. Infatti, sarebbe forse opportuno che tutti ricordino l’essenza stessa del Partito Radicale: motore di cambiamento! Oggi questo cambiamento è finalmente in atto. Ma soprattutto, ora più di ieri abbiamo la consapevolezza - e non la speranza - che domani è un giorno nuovo e che niente deve rimanere immutabile.
di Giulio Pagano (*)