martedì 9 agosto 2016
Stefano Parisi vorrebbe affidare a un’Assemblea Costituente eletta dal popolo il compito di riformare la nostra Carta fondamentale.
La proposta recepisce un sentimento diffuso nella comunità nazionale: la Costituzione, tutta intera, così com’è non è adeguata ai tempi. Il mondo, nei settant’anni trascorsi dall’introduzione della Carta, è profondamente cambiato. Sono mutati gli equilibri geopolitici globali, sono cambiati i bisogni degli individui, si sono estesi i confini dei diritti di cittadinanza, sono mutate le aspettative degli elettori rispetto alla qualità e al contenuto del rapporto con la rappresentanza politica. La Costituzione del 1947 parlava a una comunità chiusa, frustrata dalla sconfitta subìta nel conflitto mondiale appena terminato e ferma economicamente alla condizione di Paese economicamente arretrato. Il piano di industrializzazione era ai primi passi e il boom economico ancora di là da venire. Pur tra luci e ombre l’Italia c’è l’ha fatta a rimettersi in piedi. Ma c’è stata la sincope sociale-istituzionale determinata dal crollo della cosiddetta “Prima Repubblica” a fermare le lancette della storia.
Già dal 1994 la nuova classe dirigente, che sorgeva dalle ceneri di quella annientata durante la stagione di “Mani Pulite”, avrebbe dovuto avviare la transizione a un nuovo modello di Stato compatibile con una società profondamente trasformata. Tuttavia, la generazione della “Seconda Repubblica” non è stata in grado di realizzare il cambiamento. Si segnalano soltanto interventi parziali che hanno peggiorato, e non migliorato, la qualità complessiva dell’ordinamento costituzionale.
La pasticciata riforma del Titolo V, prodotta nel 2001 dalla maggioranza di centrosinistra con un colpo di mano parlamentare, ne è la prova. Soprattutto, si è reso evidente che cambiare la Costituzione “a pezzi”, mancando una visione d’insieme a sostegno, sia stato un errore. Il patto fondamentale che regola la vita di una comunità nazionale, per essere modificato con successo, richiede la condivisione e il contributo del maggior numero possibile di orientamenti rappresentati all’interno della comunità nazionale. Per questa ragione anche l’ultima avventura renziana con la quale siamo alle prese in queste giornate estive è destinata a fallire, di là dalla palese insensatezza di buona parte del suo contenuto. Quel che serve all’Italia è un nuovo inizio. Si vuole ripartire dalla riforma della Costituzione? Benissimo! Ma lo si faccia senza falsi pudori o anacronistici tabù. Niente dogmi e niente verità inviolabili, anche i princìpi fondamentali devono poter essere ridiscussi e, se necessario, nuovamente delineati. Definire la Costituzione una “Bibbia civile”, conferendole una dimensione sacrale, è stata una sonora sciocchezza, frutto di un malvezzo della politica nostrana a considerare le ideologie alla stregua di fedi religiose e i partiti come chiese. La strada per ristrutturare l’edificio comunitario dalle fondamenta non è agevole e neppure breve. Quella idiozia imposta da Renzi al Parlamento del “fare presto” anche a prezzo di combinare un pasticcio giuridico- istituzionale non reggerà alla prova dei fatti.
Le grandi riforme, quelle destinate a durare, richiedono il giusto tempo di elaborazione da parte dei promotori e di metabolizzazione da parte dei destinatari. Quindi, la proposta di Parisi di demandare il compito a una nuova Assemblea Costituente in stile 1946 appare sensata. Bisogna però che lui spieghi nel dettaglio come pensi di affrontare tutti gli aspetti legati al funzionamento della macchina dello Stato e della democrazia parlamentare nel periodo di transizione che precede l’approvazione del nuovo testo costituzionale. Agosto invita ad essere buoni. Anche il centrodestra sia generoso: decida di non anticipare l’apertura della stagione di caccia con l’impallinatura precoce di Stefano Parisi. Il giovanotto ha un’idea che può valere: lo si lasci almeno mangiare il panettone.
di Cristofaro Sola