martedì 9 agosto 2016
L’atto violento è univocamente “sessuato”? No, secondo me. E lo dico da subito: non mi piace il conio “Femminicidio” (per le donne che vengono uccise dagli uomini che hanno amato), così in voga e ridondante nei media e nei vaniloqui del “politically correct”, scanditi perfino nei discorsi di circostanza tenuti da alte cariche istituzionali. Perché, insomma, un omicidio è un omicidio e basta. La vittima è sempre una... “Persona”! Il rapporto tempestoso di coppia, nell’esame in giudizio del più grave tra i reati penali, fa parte delle carte giudiziarie, degli avvocati e del processo! Mi è capitato più volte di esaminare in altri ambiti istituzionali alcuni profili di questi maschi violenti, che eliminano una parte del proprio Se attraverso la “definitiva” cancellazione dell’Altro(a). E tutto mi pare di poter dire, ma non di confermare il bisogno di questi maschi, assassini occasionali, di uccidere perché non si rassegnavano a non essere più accuditi e riveriti dalle donne che li avevano abbandonati. Molti di loro, infatti, hanno altre compagne che già lo fanno! Mi pare, piuttosto, che rilevi nelle maggior parte dei casi (letti e riportati nelle “carte”) il bisogno di riscatto per il senso frustrato di dominanza e onnipotenza, ristabilito, guarda caso, con l’esercizio attivo del diritto di vita e di morte sull’Altro(a).
Fatemi dire una ovvietà: miliardi di coppie su questa terra fanno l’amore, si amano, si odiano, si lasciano. Quante di queste si uccidono tra di loro? Andiamo a pesare la statistica dei femminicidi (e viceversa, donne che uccidono uomini per gli stessi motivi!) e vedremo che pesa 0,0001 sulla popolazione mondiale. Cioè, “nulla”! Allora? Temo che il tutto serva a fare da siparietto a magagne socio-economiche che nessuno, al momento, è in grado di risolvere e, soprattutto, a far vendere carta stampata e dare voce a gente sempre più irrilevante, pettegola e crapulona. La mia personale sensazione è che un gesto del genere, quando avviene, sia equivalente alla forza immane che spinge la lava fuori dal vulcano, originando esclusivamente dallo stato emotivo interno - ed estremamente energetico nel caso di ira incontenibile - del singolo individuo! Quindi, la mia esperienza di vita mi porta a dire che i modelli socio-antropologici (educazione, ambiente, perimetro familiare degli affetti) non giustificano granché. A controprova, si prendano esempi del tutto analoghi di coppie nello stesso stato di crisi e all’interno del cui scenario domestico emergano (con intensità di vario grado e natura) manifestazioni anche violente da parte di uno dei componenti della coppia. Statisticamente: quanti di costoro arrivano a uccidere? Un’infima quantità. A parità di tutte le altre condizioni. Quindi, si tratta solo e soltanto di una pulsione soggettiva di distruzione dell’oggetto. Roba, piuttosto, da psicanalisti. Infatti, i processi relativi sono pieni di Ctu e di perizie psichiatriche di parte.
A poco servono, a mio giudizio, gli stereotipi dell’analisi socio-psicologica dei profili maschili coinvolti. Perché a essere come sempre imprevedibile è la natura stessa dell’Essere Umano! Scientificamente, poi, tendiamo ad agire come se avessimo una statistica di milioni di anni sul comportamento dell’uomo (e della donna...) in coppia, mentre invece ne siamo del tutto privi. Diversa, invece, è la questione di potenziare al massimo, con investimenti inevitabilmente pubblici, l’implementazione - per numero e complessità organizzative - di luoghi protetti e case famiglia, che diano ricovero e assistenza alle persone maltrattate nell’ambito dello stesso nucleo familiare. Io, però, a questo punto vorrei fare un mio personale “Amarcord”, dicendo: ma dove sono finiti i maschi (fratelli, cugini, parenti più o meno stretti...) di queste donne maltrattate? Ricordo benissimo in gioventù e in non pochi casi questo soccorso “bianco”, che finiva talvolta a scazzottate senza però lasciare tracce o strascichi giudiziari per denunce sopravvenute. I violenti, cioè, sapevano bene che la rete parentale della loro vittima si sarebbe attivata concretamente, per disinnescare la minaccia e costruire un valido deterrente all’aggressione gratuita e immotivata. Le case dei congiunti erano aperte e sicure, per ospitare chi avesse subito violenze coniugali. Ma qui, vedo, funziona esattamente come per gli anziani (anche parzialmente) non autosufficienti: l’edonismo dilagante e il mondo contemporaneo tendono disperatamente a negare la Morte e, con essa, il dolore che l’accompagna e i tempi necessari per l’elaborazione del lutto. Continuiamo pure così, se credete.
di Maurizio Bonanni