martedì 26 luglio 2016
Parliamoci chiaro, è da tempo che Forza Italia ha perso appeal e spinta elettorale, per cui cercare dunque di ridurre tutto a un problema di leadership, oltre che inutile è fuorviante.
Il sostegno al Governo Monti, prima, e la sciocchezza del patto con Renzi, dopo, hanno creato un vulnus elettorale che non si colma con un nome. Oltretutto insistere sulle colpe di Berlusconi serve a poco e non offre spunti di novità per l’eventuale futuro di un movimento che, per certi versi, ha già dato tutto quello che poteva dare. Pensare dunque che una nuova leadership basti a recuperare l’enormità di consenso perso per strada è, secondo noi, un falso storico semplicemente pernicioso.
Forza Italia si è polverizzata, precipitando dal trenta al dieci per cento, per colpa di tanti uomini che accanto a Berlusconi hanno trasformato l’alternativa in inciucio, l’identità politica in vaghezza, l’antagonismo in accordo sotterraneo. Potremmo fare l’elenco dei nomi e dei cognomi, ma a poco servirebbe anche perché quel che è stato è stato.
Del resto, non capire che alla base della scelta vincente del primo Berlusconi ci fu proprio la famosa “scelta di campo” che diede vita al bipolarismo e alla identità, è stato fatale. Sta tutta qua la ragione dell’agonia di Forza Italia, la fine della scelta di campo e della sua identità alternativa al centrosinistra. Come se non bastasse, ovunque in Europa negli schieramenti, si è fatta più forte la voglia identitaria, il senso dell’appartenenza, la nettezza delle differenze politiche e programmatiche fra governi e opposizioni. Andare dunque in controtendenza, come ha fatto Forza Italia in questi anni, non poteva che portare a un lento e progressivo disfacimento elettorale. Troppi ammiccamenti con Monti prima e poi con Letta, per non parlare di quelli con Renzi, hanno confuso l’elettorato spingendolo a una disaffezione che non è più recuperabile con un semplice cambio di guida. Oltretutto, pensare di giustificare gli inciuci o le larghe intese con la scusa del pericolo grillino ha dato il colpo finale ad un consenso popolare che ben altre risposte si aspettava dal centrodestra.
L’identità grillina si può battere, infatti, non con presunte alleanze ipocrite e barzotte, ma solo con il lancio di un nuovo e grande progetto liberale e antagonista, sia al Movimento 5 Stelle sia al Partito Democratico. Solo così si può puntare in alto, solo così si può riaccendere la passione, solo così si può tornare a vincere, solo così si può aspirare alla rivoluzione liberale. Qui non si tratta di essere moderati o meno, centristi o meno, dialoganti o meno, si tratta di essere qualcosa di chiaro, definito, alternativo e politicamente riconoscibile da chi non vuole né Grillo né Renzi. La gente, infatti, oggi più che mai ha bisogno di riconoscersi, identificarsi in un progetto che non sia né similgrillino e né similrenziano, tantomeno accozzaglie di potere. Ecco perché la chiave non può essere il cambio di un nome. Il futuro del centrodestra non si può risolvere con Parisi, ma nemmeno con Salvini come con Meloni, o peggio che mai con Alfano. Prima della leadership serve l’orizzonte politico, il manifesto culturale, il riferimento ideologico intorno al quale costruire una nuova scelta di campo. Insomma, mutuando una grande intuizione di Pinuccio Tatarella, serve una frontiera oltre il centrodestra, oltre la Lega, oltre Fratelli d’Italia e certamente oltre Berlusconi e Forza Italia. E oltre non può che significare la nascita di un’area culturalmente liberale, einaudiana, repubblicana, alternativa al cattocomunismo, al cerchiobottismo postdemocristiano, al territorialismo estremo postbossiano. Insomma, qualcosa di completamente nuovo e diverso sia dalla storia del centrosinistra che da quella del centrodestra, due opzioni ormai fallite, esaurite, tenute in piedi da opportunismi, potere e interessi antichi e dannosi per il Paese.
Ci vorrà del tempo, ma questa è secondo noi l’unica opportunità e per realizzarla, ammesso che si voglia, il primo e più importante ostacolo da togliere lungo la strada è proprio quello del Governo Renzi e dei suoi trasformismi beceri.
di Elide Rossi e Alfredo Mosca