mercoledì 13 luglio 2016
Il fronte del No al referendum costituzionale è formato, teorizzando il principio per cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. È applicando questo bislacco principio, che la destra ha sbarrato la strada a Piero Fassino a Torino e a Roberto Giachetti a Roma. La prassi è perfettamente legittima, ci mancherebbe. Da parte di chi lo predica, però, ci vorrebbe almeno lo stesso opportunismo nel guardare al dopo, per capire chi è, e qual è, il vero nemico da battere nella battaglia vera. Diversamente, il rischio di sbagliare schieramento è alto.
Applicando lo stesso principio, i socialisti francesi hanno sostenuto i candidati della destra (Ump) di Sarkozy, per contrastare il Front National nelle ultime elezioni regionali. Qualora alle presidenziali dell’anno prossimo il socialista Hollande non dovesse entrare al ballottaggio, si ripeterà presumibilmente la stessa indicazione di voto per il candidato Presidente della destra. Qui, però, nel contrasto al Front, è in gioco lo stesso modello dello Stato liberale, sul quale, sia la destra che la sinistra possono convergere.
Anche in politica estera è ricorrente l’alleanza tra nemici per combattere il nemico comune. Le alleanze militari europee dell’ultima guerra ne sono una perfetta testimonianza. In politica interna invece è diverso. Qui l’equazione può non essere sempre consigliabile, soprattutto se il nemico contro cui ti coalizzi non è un vero e proprio nemico, ma semplicemente un avversario politico, perfettamente integrato nel sistema democratico. In questo caso, le alleanze costruite solo per rompere, rischiano di creare esiti molto pericolosi, soprattutto quando non è chiaro con chi poi si dovrà ricomporre il nuovo.
In un sistema bipolare: uno vince e uno perde, tutto è chiaro. Quando invece il sistema è tripolare, come da noi, se frantumando il tripolarismo puoi vincere in un confronto bipolare referendario, rischi però di scoprire di aver perso, perché il tuo precedente alleato è diventato il vero, più temibile, avversario.
In Germania, anche lì un sistema pluripolare, per contrastare le alleanze innaturali del passato (nazisti e comunisti), giustificabili solo numericamente, è stata costituzionalizzata la regola della “sfiducia costruttiva”, per cui, se ti vuoi coalizzare per rompere, devi poter anche essere in grado di accordarti per costruire.
Si dirà. Il referendum è un’altra cosa, qui non si tratta di comporre niente. Ovvio. Tuttavia, considerato che le alleanze che si sono costruite per il referendum, si sono formate su interessi unilaterali, di natura squisitamente politica, dove ognuno ha guardato al suo particolare interesse, mi sembra ingenuo non tener conto anche delle conseguenze politiche generali che deriveranno inevitabilmente da un’eventuale vittoria del fronte del No.
La bizzarra alleanza che si oppone al referendum vede schierati dalla stessa parte: la Cgil della Camusso e di Landini con Salvini e la Meloni, alcune correnti della magistratura con Berlusconi e Brunetta, il Movimento 5 Stelle di Grillo, Massimo D’Alema. A ben vedere gli unici argomenti di rilevanza costituzionale, dotati cioè di un propria intrinseca coerenza, sono quelli portati dalla Cgil e da alcune componenti della magistratura. Da questa parte si ritiene che la revisione costituzionale comporterebbe una modificazione radicale delle tradizionali relazioni sindacali ed interistituzionali, attraverso la diminuzione degli spazi di contropotere che finora la Costituzione materiale ha consentito. Il rafforzamento del ruolo legislativo del Governo in Parlamento rappresenterebbe invece un oggettivo “arretramento” dei metodi di concertazione, consultazione, condivisione e contrasto, che hanno caratterizzato le prassi della prima Repubblica.
A questa opposizione di carattere “costituzionale”, si affiancano poi le contrapposizioni politiche o, peggio, di carattere partitico e personale. Massimo D’Alema, dopo aver dichiarato di votare per la Raggi a sindaco di Roma, ha fatto capire che voterà contro la riforma della Costituzione, in odio a Matteo Renzi. Salvini e Meloni combattono la propria legittima battaglia di carattere identitario, per accreditarsi come i veri e unici oppositori della destra al Governo Renzi. Forza Italia, per parte sua, di fronte all’oggettiva somiglianza dei contenuti dell’attuale riforma con il progetto Calderoli-Berlusconi abortito nel 2006, si limita ad aderire al fronte del No per non perdere contatto con i suoi tradizionali e potenziali alleati.
Conclusione. Il popolo italiano sarà chiamato a scegliere se cambiare l’attuale Costituzione, nella totale ignoranza sui suoi reali contenuti. Soprattutto, nell’ignoranza delle reali conseguenze politiche che gli schieramenti, più o meno consapevolmente, si propongono. In questa babele politica (non certo costituzionale) ci sono alcuni dati certi: l’eventuale vittoria del No sarà soprattutto la vittoria “costituzionale” della Cgil e di alcune componenti della magistratura. Segnerà una battuta pesante sul prosieguo del Governo Renzi. Sarà soprattutto una grande vittoria del Movimento 5 Stelle, che avrà rimosso dal suo cammino il maggiore ostacolo verso la conquista di Palazzo Chigi. Continuino pure i partiti tradizionali a giocare per i loro minuti interessi “particulari”, ridicolmente divisi e contrapposti su tutto. Grillo già se la ride. Con messaggi semplici ed elementari, pur nella loro assoluta ambiguità, continua a gonfiare il “partito degli onesti”, offrendo un’immagine di novità antipartitica non facilmente imitabile, ben sapendo che la gente vuole pochissimo dalla politica, ma quel poco lo pretende.
di Guido Guidi