La lezione di un ex ergastolano

martedì 5 luglio 2016


Il 25 maggio scorso, presso l’Università di Como, grazie allo spazio concesso dal professor Stefano Marcolini, l’ex ergastolano Pasquale Zagari ha partecipato all’incontro con gli studenti della Facoltà di Giurisprudenza del corso di Diritto penitenziario per parlare della sua lunga esperienza detentiva, iniziata in giovanissima età e trascorsa recluso nei più importanti istituti penitenziari italiani.

Hanno arricchito e valorizzato l’evento con la loro partecipazione Ornella Favero, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia (Cnvg) e gli avvocati Francesca Binaghi della Camera penale di Como, Antonino Napoli della Camera penale di Palmi ed Edoardo Lorenzo Rossi della Camera penale di Milano. Zagari ha subìto anche il “carcere duro” di cui all’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario italiano; successivamente l’alta sicurezza, in espiazione della condanna all’ergastolo, ostativa ai benefici, perché in esecuzione di pene per reati mafia.

Una vita senza speranza riaccesa solo a seguito della sentenza Scoppola della Cedu, che ha riconosciuto che chi aveva fatto la scelta del rito abbreviato nel processo non poteva essere condannato oltre la pena massima di trent’anni e mai all’ergastolo. Zagari ha evidenziato che il cosiddetto trattamento penitenziario rimane molto spesso una prospettiva astratta, ove l’intervento del legislatore seguita a dimostrarsi incapace di ottenere la rieducazione del condannato e, tanto meno, sicurezza e protezione della società e ciò proprio per la mancanza di un’analisi del fenomeno che ponga al centro il detenuto come uomo.

Ma che cos’è il carcere? In che cosa ci si trasforma quando il carcere diviene solo reclusione? A queste domande ha replicato Zagari parlando dei suoi trent’anni di carcerazione durante i quali ha potuto incontrare tanta umanità disperata e senza più vita e pochissima comprensione delle cause della sua devianza. Ha raccontato degli anni sottoposto al 41-bis, in totale privazione sensoriale ed affettiva, non compatibile con il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità.

Il relatore ha domandato alla platea che senso ha privare un individuo della cottura dei cibi, della possibilità di permanere all’esterno della cella; che vantaggi offre un’applicazione della pena ancora solo retributiva e non rieducativa finalizzata ad intimorire e reprimere il senso di umanità, più che alla prospettiva di riconquista dei valori fondamenti l’individuo. Non smetteremo mai di ringraziare il professor Marcolini e la direttrice di “Ristretti Orizzonti”, Ornella Favero, che da anni sostiene la necessità di far conoscere agli studenti e di far entrare la società civile nelle carceri.

“È solo dal confronto - ci ha spiegato Favero - che nasce il cambiamento, perché il carcere è una contraddizione nel momento in cui si sottopone a queste condizioni una persona che non sa stare in una società, mentre il carcere deve essere il più aperto possibile alla società esterna. Rompere le barriere - ha continuato - significa consentire alle persone un ripensamento della loro e Pasquale è un esempio, da anni lavora su questi temi e ha una consapevolezza che non tutti hanno, per questo credo sia importante la sua testimonianza”.

La fiducia si può riconquistare, mentre il riscatto dal proprio passato, per quanto efferato possa essere, si può ottenere. Ci sono degli uomini che sono rinchiusi in carcere ma che sono cambiati; uomini che ci vogliono mettere la faccia proprio come aveva chiesto Papa Francesco in un suo discorso, mettere la faccia e affermare pubblicamente il loro ravvedimento, ma nessuno dà loro questa possibilità nonostante abbiano inviato una lettera al Papa e cerchino da anni un sostegno da parte delle istituzioni per poter dare testimonianza che un cambiamento è possibile. Lo Stato e la sua giustizia che fanno? Ad esempio, negano puntualmente ad un detenuto come Zagari, attivo membro di “Nessuno tocchi Caino”, di partecipare ai convegni ed alle varie iniziative, nonostante la pena sia stata espiata, perché sottoposto a sorveglianza speciale, ritenuto ancora socialmente pericoloso dopo trent’anni di carcere, di trattamento e rieducazione.

Questo incontro in cui Pasquale Zagari ha dato voce a chi non ne ha potrebbe essere l’inizio di altre iniziative per riflettere su che cosa è oggi la giustizia e l’esecuzione delle pene e costituire un tassello di quella spes contra spem, l’ambizioso progetto nato con Nessuno tocchi Caino per un concreto superamento dell’ergastolo ostativo.


di Yvonne Luca Ambrogio