Eccesso di aspettative e ruzzoloni elettorali

giovedì 9 giugno 2016


Molto correttamente, commentando l’esito del primo turno delle elezioni amministrative, Arturo Diaconale si domanda se al secondo turno i sindaci benedetti da Matteo Renzi beneficeranno di questo abbraccio elettorale o se, come tendo a pensare, i loro avversari, grillini in testa, riusciranno a capitalizzare al massimo il sempre più diffuso antirenzismo.

Proprio su questo aspetto dirimente ho seguito uno stucchevole dibattito condotto da Tiziana Panella su La7, in cui alcuni ospiti di orientamento governativo, tra cui la renziana di ferro Maria Teresa Meli, non riuscivano a darsi pace per la repentina perdita di consensi che sta interessando il Partito Democratico, dopo aver raggiunto l’apice del 40 per cento alle elezioni europee del 2014. Grosso modo, parafrasando quanto dichiarato da un deluso Piero Fassino, in corsa per la riconferma a sindaco di Torino, costoro hanno attribuito questa evidente voragine di voti al persistere di un certo disagio sociale nel Paese. Disagio che notoriamente penalizza a tutti i livelli elettorali le forze di Governo.

Tuttavia questo elementare ragionamento non basta a spiegare in modo esauriente una parabola politica che rischia soprattutto ad ottobre, con il referendum sul Senato, di relegare il fenomeno Renzi nel polveroso scantinato delle meteore. Ed il motivo mi sembra di una semplicità a dir poco banale: quando in un sistema quasi fallito come il nostro, tenuto in vita dalle politiche espansive della Banca centrale europea, si creano eccessive quanto infondate aspettative in tutti i campi, è inevitabile che nel momento in cui la realtà dei fatti riprende il sopravvento sui sogni l’illusionista di turno finisce rapidamente per precipitare dalle stelle alle stalle. Se poi a tutto questo ci aggiungiamo una bella dose di arroganza stile bulletto del Quarticciolo, allora veramente la frittata è fatta. E hai voglia a prendersi il controllo della Rai e ad essere sostenuti da buona parte della stampa. Dato che l’elettore medio vota sostanzialmente sulla base della propria percezione e, per questo, su un orizzonte concreto giustamente limitato alle proprie prospettive, a nulla serve il sostegno di un esercito di grancasse che raccontano di mirabolanti riforme realizzate che, però, quasi nessuno tocca con mano.

D’altro canto, come mi ritrovo a scrivere in modo quasi ossessivo, l’Italia avrebbe bisogno di tempi lunghi e misure piuttosto impopolari per tornare sulla strada di una crescita stabile e duratura. Misure che ben poco hanno a che vedere con quanto fatto finora dall’Esecutivo dei miracoli, in cui a colpi di bonus e di riformicchie si è cercato di accreditare un cambiamento radicale che, numeri alla mano, è rimasto nell’inferno delle buoni intenzioni.


di Claudio Romiti