venerdì 20 maggio 2016
Matteo Renzi ha capito di essersi malamente “intrappolato” personalizzando il referendum per farne un plebiscito sulla sua persona ed il suo Governo. Ora (un po’ tardi) vuole che si “parli del merito”.
Bene! Sono stati quelli del “No” a parlarne, quando Renzi pensava che bastasse la sua “garanzia”. Ma lui ha ignorato, intanto, il documento dei 48 costituzionalisti, pacato e preciso, che fa a pezzi la riforma. Ora, dopo che Renzi ha cambiato rotta (bugiardamente, affermando che la “personalizzazione” l’avevano fatta gli altri), un’altra brutta botta per lui gli viene da un altro documento di analisi della baggianata della riforma e di appello a votare “No” da parte di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienze politiche all’Università di Bologna, già sottoscritto da altri.
Un’analisi serrata e puntuale che fa letteralmente a pezzi la riforma. Ma, intanto, va sottolineato che Pasquino fa un caldo appello a “ragionare” sulla materia sottoposta a referendum, evitando proprio l’utilizzazione che di esso avrebbe voluto fosse Renzi per farsi “plebiscitare”. E Pasquino aggiunge pure un assai severo giudizio sulle modalità e sulla pubblicizzazione della riforma. Il documento è stato reso pubblico da “Il Fatto Quotidiano”. Naturalmente il “renziano di ferro”, Cerasa, (da qualche tempo mi occupo forse eccessivamente di lui) invece di leggerlo e magari di rendersi finalmente conto delle ragioni del “No”, ne approfitterà per stigmatizzare le “cattive compagnie”, alludendo al giustizialismo per il quale “Il Fatto” è noto, di quelli che osano schierarsi per il “No”.
Proprio l’altro giorno Cerasa ha pubblicato un articolo in cui mostra di condividere il panico perché il “No” sopravanza, in cui ripete la solita solfa: la riforma “esce dall’immobilismo” (già! Come quelli che vanno a rompere vetrine ed a rubare per scacciare la noia e l’immobilità del vivere da figli di papà) e poi “snellisce l’attività del Parlamento” (come dire che per dimagrire bisogna anche ammazzarsi). Ma si guarda bene dall’affrontare il merito (cioè il demerito), visto che questi non sono certo argomenti con i quali si possa valutare non dico la riforma della Costituzione, ma nessuna adozione di nuove leggi. Ma il suo argomento, il solito, è che per il “No” si sono schierati fior di “giustizialisti” di cui fa un elenco, senza nemmeno porsi il problema se quel giustizialismo abbia una plausibile connessione con il rifiuto della baggianate “etrusche” (bosco- renziane) della cosiddetta riforma e come se i giustizialisti, che io ho cominciato a denunziare ed a temere assai prima di lui, non potessero che dire e fare cose nefande, di qualunque cosa si occupino. Ed il “garantismo” che ad essi contrappone è solamente quello renziano relativo alle prevaricazioni personali, al protagonismo ed alle faziosità “di alcuni magistrati”.
Ma, mentre Cerasa conosce benissimo i giustizialisti rei di essersi pronunziati per il “No”, sembra ignorare chi, analizzando la riforma, ne rivela anzitutto l’ambiguità e l’incapacità di rispondere pienamente ed adeguatamente ad esigenze di modifiche della Costituzione. Forse ciò dipende dal fatto che ha poca dimestichezza con giuristi e cultori della materia. C’è però, nella oramai sfacciata faziosità filorenziana e nel suo evidente sgomento nel vedere il suo idolo ed i suoi “miracoli” in pericolo, qualcosa di allarmante. Esamina le carte che tuttora Renzi ha in mano e parla apertamente del peso dei grandi interessi economico-editoriali. Ne parla, ma sembra proprio per augurarsi che non venga meno il loro intervento. A questo punto la faziosità non ha più limiti.
Nota bene: la stampa e la televisione che propinano al pubblico ogni cazzata di Renzi sulla “novità”, “l’uscita dall’immobilismo”, la “modernità”, ecc., non hanno pubblicato (con eccezione della Stampa di Torino) non solo le argomentazioni, ma nemmeno la notizia della esistenza del “Documento dei 48”, così come ignoreranno le argomentazioni e il pronunciamento di Pasquino. E dovremmo vergognarci, come dice Cerasa, di “avere a che fare”, perché siamo anche noi per il “No”, con Travaglio, che ha pubblicato quel documento critico, cioè gli argomenti e non ha ceduto alla cultura del silenzio?
di Mauro Mellini