Sono persino diventati garantisti

giovedì 19 maggio 2016


Sono davvero diventati garantisti? Gente che aveva fatto parte del coro di osanna alle mattanze giudiziari e “aperto un credito illimitato” ai magistrati e al loro partito, ora compunti recitano litanie garantiste, magari un po’ impacciate, come capita a chi ha poca pratica di quello che fa.

E soprattutto la paura (si dice: la paura fa novanta) del confronto elettorale con i Cinque Stelle a determinare questa conversione. Ma c’è sicuramente dell’altro. Il giustizialismo è in crisi. Anche l’ultrarenziano Cerasa, direttore de Il Foglio, nota e sottolinea questa conversione improvvisa ed un po’ goffa ed esprime quel senso tra il compiaciuto ed il seccato di chi garantista lo è stato, mentre quelli (quelli, soprattutto del Partito Democratico, osannavano all’uso politico della giustizia, imponendo a se stessi ed agli altri di ignorare ogni esorbitanza e prevaricazione.

Meglio sarebbe parlare di “garantismo peloso” o d’occasione. Il fatto è che come in altri casi della storia, “la rivoluzione mangia i suoi figli”. Ed anche quella giudiziario-giustizialista. Hanno paura dei Cinque Stelle, che sono il prodotto, la caricatura del loro stesso atteggiamento nei confronti della scesa in campo politico dei magistrati, dell’oramai lontano 1992 e della loro sudditanza parassitaria nei confronti di questo inconfessabile partito.

Certo è che, mentre i Cinque Stelle, gli adoratori delle mattanze giudiziarie, espressione di un deficit culturale che li accende di un fanatismo autolesionista, quelli di Renzi e del Pd (e non solo) abituati a “godere” della discriminazione prodotta dal crescente intervento della giurisdizione penale, coprono il loro disagio e le loro preoccupazioni mettendo sotto accusa l’estremismo dei grillini e ne sottolineano i contrasti e sperano così di riguadagnare terreno contro questo Movimento “uscito da una loro costola”.

Ma il giustizialismo è in crisi, come dicevamo, anche per altri versi. Intanto c’è la questione dello sciacallaggio, prevaricatorio, ideologico ed affarista, dell’Antimafia che ha superato il limite di tollerabilità ed è venuto allo scoperto. Non bastano le cerimonie e i convegni ad impedire che la Sicilia tenda a spegnere e rigettare la “rivoluzione giudiziaria”, essendo tra l’altro oramai dimostrata ampiamente l’incapacità di Renzi a far ciò ed anche la sua assoluta mancanza di volontà di “imbrigliare” il Partito dei Magistrati e la sua invadenza oltre che il suo atteggiamento sostanzialmente ed insaziabile ed inesauribile carattere eversivo.

Ciò mentre autentici sciacalli dell’industria antimafiosa cominciano ad essere individuati ed, in qualche caso e misura, colpiti. La Sicilia è, come diceva Sciascia, la metafora delle situazioni proprie anche di altre parti d’Italia. E poi ci sono i tanti casi si amministratori Pd colpiti dai magistrati. Renzi, cui la prosopopea e la sua grande sopravalutazione di se stesso hanno fatto un brutto scherzo, aveva proclamato che il referendum costituzionale sarebbe stato come un plebiscito sulla sua persona ed il suo ruolo politico. Oggi ha capito che questo è il modo per perderlo. E di andare davvero a casa. Magari, intanto è prematuro e, forse poco realistico, attendersi che la stessa opposizione interna del suo partito, che egli ha avvilito e spregiato più che battuto e vinto, rialzi realmente la testa contro il personalismo renziano. Ma quantomeno velleità in tal senso cominciano (e continuano) a divenire reali.

Qualcuno comincia a rendersi conto che la corruzione si vince solo rendendo più semplice e realmente trasparenti gli ingranaggi della vita amministrativa del Paese e con una nuova selezione della classe dirigente, specie locale, che sia dotata di reali capacità tecniche, gente che il giustizialismo di moda tiene lontani dagli impegni pubblici. Ma è lo stesso renzismo che, in buona sostanza, è il prodotto di decenni di politica delegata ai magistrati, che è in crisi ed ha perso smalto. Il “nuovo” di Renzi comincia ad essere oggetto di insofferenza per la sua vacuità, per il suo pressapochismo che, mentre il Pd è assetato di potere e vuole diventare il partito dispensatore e regolatore, tra l’altro, delle funzioni e dello spazio per alcune minuscole formazioni satelliti. Renzi, che voleva, in buona sostanza, fare il Napoleone, rischia di essere travolto da un rivoluzione che non è in grado di dominare.

Non è, però, ora e qui che vogliamo fare un’analisi generale della situazione politica italiana, in cui la crisi del renzismo, con lo strumentale attacco ai Cinque Stelle, con il quale il Pd cerca quel recupero di forze e di credibilità che, in parte, è oramai all’ordine del giorno. Di tale dibattersi di Renzi e dei suoi per tornare a galla quel che oggi vogliamo esaminare è la “scoperta” del garantismo, sia pure in funzione antigrillini. È tale “funzione” a determinare, da una parte, la scarsa credibilità e la precarietà di tale atteggiamento e, dall’altra, a far sì che, se anche almeno le tracce e le ricadute del neogarantismo non sono destinate ad essere presto cancellate ed a scomparire, Renzi non ha la minima possibilità di un qualche successo in tale questione. Senza la presa d’atto esplicita e la presa di coscienza dell’esistenza di un Partito dei Magistrati e delle deformazioni che esso ha ottenuto dell’ordinamento giuridico che ne hanno a dismisura aumentato il potere, non basta certo che Renzi dica ai magistrati “grazie, non abbiamo più bisogno di voi, ritornate a fare quel che i magistrati devono fare”, né Renzi né alcun altro possono pensare di venir a capo del giustizialismo e di rafforzare il garantismo per tutti i cittadini, senza fare di ciò il pernio centrale della politica.

“Garantismo peloso”, dunque. Un ulteriore equivoco, se non una truffa, con il quale non si va da nessuna parte.


di Mauro Mellini