martedì 10 maggio 2016
È opinione comune che il principio di eguaglianza sia diretta derivazione del principio di ragionevolezza, che impone identità di trattamento per cose, persone e situazioni “uguali”. Detta in questi termini, la regole sembra facile, quasi elementare: facile da capire ed altrettanto facile da applicare. Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, dice la nostra Costituzione. Però, pensandoci bene, uguali davanti alla legge non significa affatto che, in concreto, siano, tutti ed in tutto, uguali. Magari, qualche distinzione si può fare, per rispettare il principio di ragionevolezza. Vediamo se è così.
I cittadini possono esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di comunicazione. Mi sembra ovvio: se siamo tutti uguali, tutti abbiamo gli stessi diritti. E poiché ci siamo conquistati il diritto di dire ciò che pensiamo, va da sé che tutti siamo liberi di intervenire su qualunque argomento: di dire la nostra, insomma.
I magistrati sono cittadini. Siamo sicuri che siano cittadini come gli altri? Non in tutto. Ad esempio, l’articolo 98 della costituzione dice che la legge può impedire loro “di iscriversi ai partiti politici”; l’articolo 101 cristallizza il principio di indipendenza della Magistratura e stabilisce che il giudice è soggetto soltanto alla legge; l’articolo 107 afferma che sono “inamovibili”, vale a dire che non possono essere trasferiti, se non nei casi previsti dalla legge.
Fatta questa precisazione, siamo ancora sicuri che i Magistrati siano – davvero ed in tutto – cittadini come tutti gli altri? Siamo sicuri che possano liberamente intervenire nel dibattito politico e dire pubblicamente quello che pensano? Intanto, non dimentichiamolo mai, i magistrati sono pubblici dipendenti e, come tali, sono “al servizio esclusivo della Nazione”: non di questo o di quello, ma della Nazione, di noi tutti. In secondo luogo, i magistrati godono – giustamente e nel nostro interesse – di guarentigie che proteggono la loro indipendenza ed assicurano, a noi tutti, la imparzialità dei loro giudizi e delle loro iniziative. Infine, i magistrati sono depositari di un potere che, nel nostro sistema, non è attribuito a nessun altro soggetto: possono limitare la nostra libertà, disporre intercettazioni, entrare nel nostro domicilio, decidere sui nostri diritti. Siamo ancora sicuri che siano uguali agli altri cittadini? Davvero qualcuno pensa che le dichiarazioni rilasciate in un’intervista dal Procuratore della Repubblica di una delle nostre città abbiano lo stesso peso delle parole di un cittadino qualunque? Non hanno lo stesso peso e sappiamo anche il perché: perché noi riconosciamo – giustamente – ai magistrati un ruolo “speciale” nel nostro sistema; perché sappiamo che “loro” possono – anzi, devono – entrare negli anfratti più nascosti delle nostre vite; perché “loro” esercitano il cosiddetto controllo di legalità. Anche sul Governo, anche sui politici, anche sui loro colleghi.
Quando la Costituzione afferma che siamo tutti uguali davanti alla legge, dice proprio questo: anche il nostro Presidente del Consiglio – molto più potente di ciascuno di noi – è soggetto alla legge. Se sbaglia, anche Matteo Renzi paga. Quindi i magistrati, se vogliamo essere sinceri, non sono proprio “uguali a tutti gli altri. Citando Orwell, direi che – giustamente – sono “più uguali”.
Tiriamo le somme. Se noi chiediamo loro di tacere, di non rilasciare interviste, di non assumere atteggiamenti politicamente rilevanti o potenzialmente idonei ad incidere sulla politica, limitiamo i loro diritti e violiamo il principio di uguaglianza e ragionevolezza? Rispondete voi.
di Mauro Anetrini