venerdì 29 aprile 2016
No, non era come il vino vecchio che perde in profumo ma acquista in forza e sapore. Era come se tutte e tre le qualità fossero svanite in un qualcosa che sapeva di stantio e di ripetuto. Ci riferiamo all’ultima commemorazione milanese del 25 aprile che, pure, ha offerto qualche momento di riflessione. Non solo sulle pagine scritte a Milano in quei giorni di insurrezione culminata nella liberazione della città ad opera sia della Guardia di Finanza che di (pochi) partigiani veri, essendo questi ultimi scomparsi da anni, siamo nel 2016. E neppure sul significato più autentico di un capitolo fondamentale della nostra storia. Repetita, non iuvant. Ma lasciamo perdere.
Premesso che si trattava di una manifestazione tipicamente festiva, in un certo senso per famigliole, aggiungiamo che le violente contestazioni temute non ci sono state. A parte quella nei confronti della Brigata ebraica. Diciamocelo: potevano mancare gruppi e gruppetti di (filo)palestinesi a inveire contro la “stella di David” simbolo sotto il quale l’armata ebraica partecipò direttamente e coraggiosamente alla cacciata dei nazisti dal Paese? Potevano stare zitti - almeno una volta da anni a questa parte - i nemici dello “Stato imperialista di Israele che opprime e reprime il popolo palestinese”? No, non potevano. Certo, era più contenuta del solito, meno aggressiva ma, appunto per questo, la contestazione da parte dei (filo)palestinesi all’armata ebraica ha assunto un che di surreale oltre che di storicamente assurdo. E proprio nel corso di una manifestazione in onore della libertà e della democrazia contro il fascismo e il nazismo.
Forse occorrerebbero intense lezioni di storia ai manifestanti contro la Brigata ebraica. Perché, rifacendosi alla storia della Palestina e dei palestinesi di ieri, quelli di oggi dimenticavano colpevolmente che i loro, per dir così, progenitori erano stati entusiasti sostenitori di quell’Hitler che preparava scientificamente, oltre che una guerra mondiale, i ghetti ebraici e i campi di sterminio per milioni di persone con indosso cucita proprio quella stella oggetto delle loro proteste. E poi dicono che la storia è maestra di vita.
Un’altra riflessione ci è sorta spontanea ascoltando i peraltro scontati interventi in piazza. Tutti contraddistinti dal messaggio sempre nuovo della Resistenza e della Liberazione. A parte quello istituzionale del sindaco e a parte il tentativo, anche questo surreale, di fare degli immigrati una sorta di corrente dei “nuovi resistenti” mescolando fantasmagoricamente la liberazione e l’immigrazione; il discorso ufficiale tenuto dal professor Carlo Smuraglia, presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (Anpi), ha toccato i punti salienti di quel capitolo della storia patria ripetendo - per forza di cose - parole, frasi, idee e ideali ripetute anno dopo anno davanti alla maestosità del Duomo.
Ma, alle orecchie bene attente non poteva sfuggire il suo ragionamento politico nei riguardi della Costituzione che, come si dice, è “la più bella del mondo” oltre che moderna e innovativa. È vero, infatti, che alla Liberazione dobbiamo i passaggi storici successivi fra cui la Repubblica e la sua Costituzione. E siccome la Costituzione è frutto della Resistenza, e il loro ricordo coincide (così ragionava l’oratore) se ne deve obbligatoriamente dedurre che qualsiasi suo mutamento è o potrebbe essere un attentato ai valori resistenziali. La Costituzione nata dalla Resistenza deve rimanere così com’è, nella sua bellezza e sacralità. È un messaggio chiaro a proposito del referendum costituzionale d’autunno. Un messaggio di stampo indubbiamente conservatore, anche se detto dall’Anpi, quel “giù le mani dalla più bella Costituzione del mondo” è un messaggio non molto pacifista.
di Paolo Pillitteri