Partito dei Magistrati: riaffiora l’estremismo

giovedì 28 aprile 2016


Il malessere che serpeggia dalle parti del Governo Renzi, la prospettiva di una batosta definitiva al referendum costituzionale, hanno fatto rialzare la cresta a quella parte del Partito dei Magistrati che aveva accettato un ruolo di supporto al “Partito della Nazione”, analogo a quello che, alle origini, Magistratura Democratica, che del P.d.M. è la madre o la madrina, aveva con il Partito Comunista Italiano e la Sinistra negli ultimi anni della Prima Repubblica.

Le parole di Piercamillo Davigo, ora presidente dell’Anm, già “Dottor Sottile” del pool un po’ grossolano e “molisano” di Mani pulite, con le quali, assai poco sottilmente, “scomunica” l’attuale classe dirigente (“i politici oggi non hanno smesso di rubare, hanno smesso di vergognarsi”) non sono una semplice battuta infelice: sono il segnale di una virata di bordo rispetto ad un atteggiamento “comprensivo”, anche se non comportano un allineamento di tutta la Magistratura Associata e del quasi coincidente Partito dei Magistrati, con l’ala oltranzista, ed anzitutto con la “scheggia impazzita”, sostanzialmente eversiva di Palermo e dintorni, e poi, con Lombardo (RC), (Gratteri, peraltro “Ministro aggiunto” a via Arenula, badante del povero Orlando) e De Magistris, sindaco di Napoli. E da ultimo il Procuratore Antimafia Roberti, con la sua intervista arrogante e provocatoria.

Il piuttosto grossolano “Dottor Sottile” avrebbe potuto usare quella frase (che poi si è malamente “rimangiata”) come premessa di un “mea culpa” suo personale, in quanto autorevole componente “ideologo” del pool di Mani pulite. Il “mea culpa” che ha fatto Borrelli, riconoscendo, allo stesso tempo, il carattere politico ed eversivo di quella operazione ed il suo disastroso risultato, consistente nell’aver fatto fuori un’intera classe dirigente, impedendo un naturale e positivo ricambio generazionale. A sostenere la frase (quella originaria, non quella “edulcorata”) di Davigo, si è mossa la crème dell’oltranzismo pangiudiziario, quello di Destra e quello fuori della Magistratura. Quest’ultimo circoscritto in pratica ai poveri Cinque Stelle che da sempre si sono presentati come i “peones” del P.d.M.

A reagire, negativamente, in modo oramai da lungo tempo inconsueto, è stata anche parte dello schieramento governativo. Anche questo si spiega con l’incidenza che la partita del referendum costituzionale di ottobre, con il suo carattere indiscutibilmente essenziale per la sorte del regime etrusco- renziano, già fa sentire in molti aspetti della vita del Paese. È fin troppo evidente perché possa sfuggire ad un opaco furbastro come Renzi e come la gran parte dei suoi, che il Paese è arrivato a comprendere l’intollerabilità prevaricatrice del ruolo politico, sociale ed economico che la magistratura esercita nel Paese. Lo ha capito Angelino Alfano, che per tanti anni ministro della Giustizia di Berlusconi ha svolto la funzione di “pompiere” nei confronti dei conati del Cavaliere di affrontare la questione giustizia come il più acuto e complesso scontro politico-istituzionale. Ora che la sua rete di “servizi al potere” in Sicilia e altrove rischia di grosso, Alfano ricorda quello che mai aveva osato mostrare di capire ed aveva sperato che altri non capisse in passato: “I magistrati devono combattere i crimini, non i Governi”.

Meglio tardi che mai. Ma ricordiamoci che dalla “questione giustizia” o quel che si vuol far passare per tale, verranno le più grosse novità ad ottobre.


di Mauro Mellini