sabato 23 aprile 2016
Roberto Giachetti è una bravissima persona, ma probabilmente non quella giusta per fare il sindaco di Roma. Lo dimostra il tragico, anzi tragicomico, errore di propaganda compiuto due giorni orsono allorché si è recato dalla presidentessa della Commissione antimafia, Rosy Bindi, con le liste elettorali del Partito Democratico in una mano e il cappello nell’altra. Doveva farsi “approvare” burocraticamente, anzi certificare, la non sospettabilità di mafia di alcuno dei componenti della sua squadra. Esattamente come avrebbe fatto in Iran uno come Hassan Rouhani davanti all’ayatollah Ali Khamenei e al capo dei guardiani della rivoluzione islamica.
A questo si è ridotto il Pd pur di inseguire, in maniera perdente, i grillini sul loro stesso campo demagogico e forcaiolo? E la Bindi che certificazione può dare? La politica ormai si gioca sulla pulizia formale di una fedina penale che, badi bene, non garantisce ovviamente alcunché? O forse Giachetti teme che i suoi potenziali elettori siano rimasti ipnotizzati dalle grida manzoniane di “onestà, onestà!” che hanno caratterizzato (e a mio avviso profanato) il funerale di Gianroberto Casaleggio?
Difficile capire la logica di questa trovata di Giachetti. Mutatis mutandis, però, rischia di assomigliare al veto dei Cinque Stelle alla candidatura di Rita Bernardini a Garante dei detenuti della regione Abruzzo: anche lei formalmente “pregiudicata” per le numerose azioni di disobbedienza civile sulla cannabis. Poco importa ai burocrati della legalità (quelli che gridano “onestà” ai funerali) se la stessa Bernardini era quella che chiamava i carabinieri per farsi arrestare nelle proprie azioni di disobbedienza civile.
È la logica della Legge Severino: sei “mascariato”? Allora ti fotto politicamente. Certo, in tutto questo orrore mediatico e umano a rimetterci è l’elettore romano che in meno di due anni è dovuto passare da “Mafia Capitale”, e dal suo ex sindaco marziano e un po’ furbetto Ignazio Marino, al commissario governativo Scarpia, pardon Tronca, e poi a scegliere tra uno di questi quattro non candidati: il protettore civile Guido Bertolaso, la post-missina Giorgia Meloni, Virginia Raggi, avvocatessa grillina con un passato nel centrodestra (rinnegato tre volte prima che il gallo canti) e, last but not least, il povero Roberto Giachetti, che non sa a quale santo votarsi, anzi farsi votare, visto che i possibili elettori tifano per la sua sconfitta. La situazione attuale della Capitale d’Italia sembra il seguito del film “Lo chiamavano Jeeg Robot”. Periferie e periferici condannati al degrado e vip che vivono in una torre d’avorio il cui affitto è sempre più caro. In mezzo una classe politica trasversalmente incapace persino di far mettere a posto il manto stradale, diventato ormai pericolosissimo anche per i pedoni. Nessuna sostanza, solo bieca e ridicola propaganda. A cominciare dalla cerimonia della benedizione delle liste di Giachetti da parte della ayatollah in gonnella dell’Antimafia.
Parafrasando il titolo di un noto film di Pedro Almodóvar, l’elettore romano, che quasi sicuramente diserterà in massa anche questa tornata elettorale, potrà legittimamente chiedersi: “Che ho fatto io per meritare tutto questo?”. Forse è la punizione per avere votato prima Alemanno e poi Marino? O forse è l’insostenibile pesantezza dei palazzi della politica che gravitano su Roma come incombeva sulla terra il pianeta Melancholia nello splendido film di Lars von Trier?
@buffadimitri
di Dimitri Buffa