giovedì 14 aprile 2016
Speranza, le bordate antirenziane e l’endorsement anti-petrolio: la metamorfosi e le amnesie di un apprendista leader.
C’è stato un tempo in cui Roberto Speranza (o Bob Hope per dirla alla Renzi) non era l’arrembante oppositore interno di Renzi nel Partito Democratico. Era il più moderato dei bersaniani (ancor prima dalemiano) con quell’aria da bravo ragazzo educato e del Sud che rassicurava un po’ tutti. Da segretario regionale del Pd della Basilicata, dal 2009 al 2013, era l’uomo delle mediazioni infinite e del “vogliamoci bene”. Mai una parola fuori posto. Mai un’uscita fuori dalle righe. Regista e mediatore anche sul tema delle estrazioni e dello “Sblocca Italia” tra Roma e la Basilicata, tra Pd di governo e Pd di opposizione.
Poi man mano qualcosa è cambiato. La prima svolta a fine agosto 2013, quando venne scelto da Bersani - per ringiovanire la squadra - nella corsa alle primarie del centrosinistra per la scelta del candidato premier. Tra alti e bassi Speranza, pur con un Bersani poi bollito, si trovò addirittura capogruppo del Pd alla Camera dei deputati non con il suo mentore ma con Letta. La storia è nota: Letta non resistette all’ascesa di Renzi, Speranza sì e conservò la poltrona da capogruppo. Ad un certo punto, il trentenne pareva addirittura in procinto di rompere il cordone con l’ala di sinistra per entrare a pieno titolo nella galassia renziana. Fino alla frenata che lo portò a rompere con Renzi dimettendosi da capogruppo.
Da allora tutto è cambiato per Speranza. Addio a quell’aria da moderato (tra Potenza e Matera in molti lo consideravano il più doroteo delle nuove generazioni) e al ragazzo delle mediazioni. L’obiettivo più o meno dichiarato è quello di essere lo sfidante di Renzi al futuro congresso del Pd. La difficoltà è quella di essere più “cattivo” di Emiliano, più popolare di Letta, più brillante di Cuperlo.
Un’occasione per indossare l’abito più scintillante di picconatore della maggioranza del proprio partito gli viene offerta dalla cronaca di questi giorni. Lo scandalo dell’inchiesta su Tempa Rossa. Lui lucano doc inizia a tuonare su due fronti. A Roma contro la linea del Governo in merito alla vigilanza sui temi ambientali e sugli incroci pericolosi imprenditoria-politica in materia di estrazioni, in Basilicata contro il presidente della Regione, il renziano doc Marcello Pittella. Ma proprio in Basilicata la partita rischia di diventare più scivolosa. Speranza è diventato l’alfiere del referendum di domenica prossima. Nel frattempo però, prima Prodi e poi addirittura il suo “maestro” Bersani si sono smarcati dallo slancio referendario. Il quesito rimasto è oggettivamente debole nella sostanza: pericoloso politicizzarlo in un più generico (non è così nei fatti) trivelle sì, trivelle no. Speranza però è lanciato. E arrivando a Potenza, dove ha presenziato proprio ad una manifestazione pro referendum, ha iniziato a battere a più non posso contro il petrolio e il malaffare. Tanto da autonominarsi addirittura portavoce della base del partito: secondo l’ex capogruppo, il popolo non gradirebbe l’invito all’astensione, o meglio, ad andare al mare (di craxiana memoria) lanciato dal Premier negli scorsi giorni.
A Roma la vicenda però potrebbe non quadrare. Speranza solo un anno fa fu protagonista di un vero e proprio sforzo congiunto con il governatore Pittella per ammorbidire lo “Sblocca Italia” in tema di poteri tra Stato e Regioni sulle estrazioni. Alla fine la Basilicata ottenne benefici aggiuntivi. Speranza fu incensato per questo e tuonò non poco contro chi si scagliava “senza sì e senza ma” contro il petrolio. Tranne poi assumere egli stesso questo ruolo. Ora il risultato del referendum di domenica potrebbe mitigare o accrescere ancora questo ruolo. Ma il passato resta. A meno che tutto non sia solo l’ennesima partita a scacchi interna al partito visto che in Basilicata c’è nell’aria il rimpasto della Giunta regionale con gli speranziani che puntano almeno a due poltrone da assessori.
Insomma, anche Speranza e chi pensa tutto il male possibile di Renzi, oggi prova a scardinare il Premier segretario non più solo nelle aule del Parlamento attraverso un confronto sul merito, ma anche sul campo sommario del populismo facile. Quello però non dovrebbe essere il ruolo di chi punta a guidare un partito nato per essere forza di governo. E Speranza questo lo sa, ma evidentemente è l’unica strada percorribile contro uno come Renzi.
di Salvatore Santoro