Il tappeto dromedario

mercoledì 13 aprile 2016


Non c’è due senza tre, 2014, 2015 e ora 2016. È la terza volta che Renzi e Padoan sono costretti a smentire le previsioni stellari sulla crescita, sul deficit e sul pareggio di bilancio. Tutti ricorderanno le frasi imperiali sulle “cinture da allacciare” per sopportare l’accelerazione, sulla “freccia” per superare la Germania, sulla “ripartenza bruciante” del Paese e sul debito in “evidente discesa”. In qualsiasi altro Paese tanto basterebbe per sfiduciarli e non fargli più credito della buona fede, perché ci si può sbagliare una volta, diciamo due, ma alla terza non più. Alla terza c’è evidentemente un difetto di capacità, di scelte e magari anche di sincerità sul reale stato delle cose. Comunque sia e volendo essere magnanimi, come minimo siamo di fronte a troppa leggerezza nelle dichiarazioni agli italiani, a troppo qualunquismo sulla bontà delle scelte e soprattutto ad un’ingiustificata speranza nei miracoli. Un Paese, infatti, non cresce solo perché lo dice il Premier o il super ministro, non migliora i conti solo perché si mette la polvere sotto il tappeto e non ottiene la fiducia dei mercati solo perché si allunga la scadenza delle cambiali.

Tanto è vero che i dati finali sono sempre al ribasso, che il tappeto italiano ha fatto una gobba da dromedario, che i mercati hanno acceso gli abbaglianti sui nostri conti e sulla loro sostenibilità. Del resto, parliamoci chiaro, qua nessuno è fesso, figuriamoci l’Europa, le società di rating e finalmente anche gli italiani che, dopo due anni di Governo Renzi, iniziano a capire quel che c’è da capire. Ora non si tratta di essere gufi, pessimisti, antirenziani e chi più ne ha più ne metta, ma si tratta di guardare in faccia la realtà e constatare che, per l’ennesima volta, il Def rimanda in avanti, rivede in negativo, posticipa insomma al futuro gli obiettivi necessari per la guarigione.

Il grande pericolo di tutto ciò è non solo nel fatto di non avere il coraggio di ammettere gli errori, ma di continuare a illudersi che, allungando il brodo, possa accadere che qualcuno sceso da Marte lo condisca con più sale e più sapori per renderlo miracolosamente squisito, appetibile e trionfalmente gradito. Al contrario, invece, il buon senso e la preparazione di un Governo capace, dovrebbe spingere a pensare esattamente l’opposto e cioè che, purtroppo nel tempo, si possano verificare fenomeni peggiorativi e pericolosamente penalizzanti.

Ci riferiamo alla Banca centrale europea che, prima o poi, dovrà cessare una politica tanto accomodante, ai vincoli Ue che, prima o poi, saremo obbligati a rispettare a partire dal sistema bancario e alla realtà di un debito effettivo la cui dimensione, presto o tardi, dovrà uscire fuori. Come se non bastasse, nel futuro più o meno prossimo si affacciano variabili rischiosissime sulla tenuta dell’Euro, sull’unità europea, sulla ripresa mondiale, sugli equilibri geopolitici internazionali. Tanto basterebbe e avanzerebbe non solo per andarci molto, ma molto cauti, ma per mettersi a lavoro alla grande sui conti veri e sul quel che serve per correggerli, per restituire agli italiani la serenità per fare ciò di cui sono capaci.

Del resto, basterebbe domandarsi: può un Paese esasperato da un sistema fiscale aggrovigliato e persecutorio, immobilizzato da una giustizia lenta e ingiusta, ossessionato da una burocrazia devastante, inutile e penalizzante, zavorrato da un apparato pubblico dannoso e inefficiente, così ridotto crescere e ripartire? Può svilupparsi un Paese che costa come un grande champagne, ma offre la più sgradevole delle gazzose, oppure dove a forza di scandali, disonestà e mala politica la gente ha perso ogni fiducia? O un Paese che se deve prendere ti leva la pelle e se invece deve dare ti lascia morire e basta? Uno Stato così non si riprenderà mai, uno Stato così è destinato alla deriva, al collasso, o ad affrontare una rivolta popolare.

Ecco perché la politica di governo, anziché assumere atteggiamenti di pericolosa tracotanza, di superiorità spocchiosa, di costante autoassoluzione e di pelosa demagogia nei confronti dei cittadini, avrebbe per prima cosa dovuto chiedere scusa e proporre una pacificazione collaborativa fra tutti. Questo avrebbe dovuto essere il primo fondamentale passo, prima di dare corso a ogni intervento, a ogni provvedimento, a ogni riforma. Un Paese con la testa in acqua per la crisi, per Equitalia, per la Legge Fornero, per i contenziosi in sospeso, per l’inaffidabilità del sistema del credito, per la disoccupazione e per l’inciviltà dei servizi offerti, non cresce e non potrebbe farlo.

Un Paese dove la frattura di fiducia fra amministrazione e contribuenti, fra politica ed elettori, fra costo e ricavo, fra promesse e risultati, è diventata totale, non ha le condizioni necessarie e indispensabili per rilanciarsi e rimettersi in moto. Ecco perché insistere con la polvere sotto il tappeto, con le promesse insensate, con la morsa di Equitalia, con le sfide all’universo mondo e con l’autoreferenzialità supponente, è pericolosissimo ogni giorno di più.

L’Italia sta male e i motivi la gente li conosce uno per uno; non solo li conosce, li vive e li paga, ma è costretta ad assistere a volgari esempi quotidiani di privilegi, sperperi, vantaggi faraonici e lussi inaccettabili della classe politica e dirigente. Serve un reset, una proposta riparatoria e pacificatoria, un modo per chiudere e sbloccare i vincoli e gli antagonismi e per ricominciare dopo, con la tranquillità, la voglia e la fiducia reciproca nel futuro. Credete, solo così ci salveremo, altrimenti e purtroppo, su quella gobba del tappeto, l’Italia inciamperà fragorosamente.


di Elide Rossi e Alfredo Mosca