Le memorie inutili

venerdì 1 aprile 2016


Francamente questi libri scoop “vorrei ma non posso” hanno un po’ stufato, come sempre si traducono in notizie trite e ritrite che tutti già sanno e conoscono, ma che non portano mai a nessuna denuncia concreta o cambiamento.

Del resto, pur facendo tutte le critiche ad una magistratura come la nostra, dovremmo sentenziare che i giudici non leggono e non comprano i libri, visti i risultati (o meglio i non risultati) di tanti sedicenti sensazionali volumi-verità. Infatti, se poco poco queste pubblicazioni contenessero elementi di possibili o eventuali illeciti di qualsiasi tipo, sarebbe molto grave la mancanza di ogni conseguente approfondimento giudiziario. Dunque e purtroppo, dobbiamo concludere che si tratti sempre di sfoghi al libero intuito del lettore sull’eventuale verità. Solo negli ultimi anni ne sono usciti a valanga, tutti certamente ben scritti, utili magari a chi avesse voglia di conoscere meglio dettagli e passaggi, ma sempre privi di quelle prove e di quelle pistole fumanti in grado di oltrepassare il cosiddetto ragionevole dubbio sul misfatto.

È il caso del libro di Ignazio Marino, “Un Marziano a Roma”, un testo in cui l’ex sindaco della Capitale non ha voluto, potuto o creduto, affondare più di tanto sulla storia della sua esperienza e del suo disarcionamento da primo cittadino. Sia chiaro, nessuna accusa e nessun addebito è fatto al chirurgo, ma almeno stavolta ci si aspettava qualcosa di veramente importante su tanti accadimenti che hanno accompagnato la sua sindacatura. Comunque sia e al netto di ogni commento, quella che ne esce fuori è la conferma dell’opacità che regna nel Partito Democratico e del suo perenne stato da resa dei conti, che lo rende del tutto uguale se non peggiore di tanti altri partiti.

Infatti, la storia di Marino sindaco nulla testimonia se non la mancanza di quello spirito che, ovunque e comunque, la politica dovrebbe avere per presentarsi ai cittadini con tutte le carte in regola. Del resto la Capitale da anni è lo specchio dell’Italia, di un Paese dove non solo tutto funziona poco o niente, ma dove il senso del bene comune, del servizio pubblico e dell’utilizzo delle risorse collettive si è letteralmente liquefatto a vantaggio dei sentimenti e dei comportamenti più negativi. Per questo Roma è caduta in una voragine vergognosa, per questo l’Italia è sprofondata in un mare di scandali, di debiti, di disservizi e di sperperi. Si va avanti così da decenni e nonostante le indagini, gli accertamenti e i processi, che pure ci sono e ci sono stati, il coperchio di una classe politica e dirigente, chiaramente in larga parte malata, non viene mai scoperchiato fino in fondo. Ci si ferma sempre ad un certo punto, ci si orienta in un verso e poco nell’altro, alcuni nomi entrano e poi escono, spesso si archivia, alcuni pagano e tanti altri se la cavano. Di chi sia la colpa e il perché di tutto ciò è difficile a sapersi ed a dirsi, ogni ipotesi è libera come è libero ogni pensiero, ma il fatto vuole che da noi tanti fenomeni continuano imperterritamente a ripetersi e in molti casi ad amplificarsi.

Del resto, se la stessa Tangentopoli non ha ottenuto il risultato tanto auspicato qualche motivo dovrà pur esserci, dunque o ci si è sbagliati nel compiere quell’operazione o il male è così forte da non temere medicina o bisturi che sia. La realtà è che l’Italia non è cambiata, perché non è cambiata come sarebbe stato necessario la classe di comando e senza questo radicale cambiamento tutto resterà opaco, ambiguo, negativo e pernicioso. Ecco perché anche i cosiddetti libri-denuncia, le cosiddette verità sensazionali, che si scrivono e si annunciano, finiscono col restare immancabilmente fra “color che son sospesi”, senza mai arrivare all’origine del virus che ha defedato tutto e tutti.

Roma sta male, malissimo, perché il Paese sta male, inutile far finta di niente, inutile derubricare e, ammesso che si voglia cambiare, serviranno anni e anni di coraggio, di trasparenza, d’impegno e di capacità reale e leale per tornare sul binario giusto, sperando che non sia troppo tardi. La gente è stanca, sfiduciata, tartassata, ossessionata da un fisco persecutorio, da un disservizio devastante, da una macchina di Stato arrogante, costosa ed inefficiente e, se i politici anziché scrivere memorie, capissero che siamo giunti al limite del sopportabile e vicini alla rivolta, sicuramente sarebbe già un gran bene per tutti.


di Elide Rossi e Alfredo Mosca