Lo scontro unilaterale di civiltà

mercoledì 30 marzo 2016


Prima o poi l’Isis sarà battuto e sarà messo, sul piano militare e strategico, in condizione di non nuocere, nonostante i sociologi, gli storici, i teologi, gli antropologi, i politici soprattutto, non si siano ancora messi d’accordo sulle analisi e sulle ricette da adottare per batterlo sul piano culturale e delle scelte politiche.

Il primo, obbligato intervento non può che essere di natura repressiva. Tuttavia, se si continua con le analisi generiche e approssimative che si ascoltano in giro, senza approfondire il fenomeno nella sua reale consistenza ideologica, l’Islam radicale continuerà a bruciare all’interno e all’esterno delle terre dell’Islam, sotto la cenere, per riesplodere, in un futuro prossimo, con la stessa aggressività. Del resto, la recente storia è lì a testimoniarlo. L’Islam radicale sceglie i volti e i luoghi a seconda delle contingenze storiche. Talebani afghani, prima, Osama bin Laden, Al-Qaeda, Isis, Boko Haram, sono tutte facce della stessa medaglia, che agiscono e interagiscono nei confronti dell’Occidente e dei suoi simboli.

Si è mai spiegato all’opinione pubblica perché l’Isis, che pure ha il suo radicamento in Siria e in Iraq, riesce a fare proseliti ovunque, e ha mire d’espansione in tutto l’Oriente, il nord Africa, fino a lambire l’Europa e gli Stati Uniti, vantando ambizioni di espansione di tipo sovranazionale? Si è spiegato che cosa significa per la cultura politica musulmana “Stato islamico”?

Se si avessero chiare le idee su questo tipo di Stato, come pensato ed elaborato nella dottrina islamica, si capirebbe meglio tutto il resto. Si darebbe soprattutto una risposta meno ondivaga al quesito se il conflitto in atto sia da inquadrare nell’ambito delle sparute deviazioni di giovani sbandati ed emarginati, oppure nell’ambito di un vero e proprio scontro di civiltà.

Gli Stati Uniti, seguiti da alcune Cancellerie europee, hanno ammonito a non far uso dell’espressione Isis. Meglio Daesh si dice, per contrastare l’ambiziosa pretesa di propagandare l’avvenuta formazione di un vero e proprio Stato nazionale. Bene. La raccomandazione è giusta, sia ai fini evocativi che politici. Questo non autorizza però a perdere di vista la reale natura delle cose. Rivendicare lo Stato islamico non significa semplicemente dichiarare l’avvenuta nascita di un nuovo Stato nazionale, accanto a uno dei tanti Stati, grandi e piccoli, della regione medio-orientale. Nella mente dei suoi fondatori Isis è molto di più. Rivendica il modello dello Stato originario, quello guidato dal Profeta Maometto e dai quattro Califfi Ben Guidati, dopo l’Ègira, cioè la fuga dalla Mecca e l’insediamento a Medina (622 d.C.). Quel tipo di Stato interpreta lo spirito originario dell’Islam, la vera sua essenza, dove la Sharî‘a è stata perfettamente intesa ed applicata integralmente, senza mediazioni e modernizzazioni, creando una società giusta.

La pretesa politica di Isis non è dunque da sottovalutare. Ha prospettive globali e universali. Ha soprattutto un fondamento storico, ideologico e teologico, e parte dal presupposto che, se si vuole salvare l’intero mondo dal rischio di essere inglobato nella Jāhiliyya (ignoranza e peccato), si deve tornare allo Stato islamico delle origini, con tutto ciò che ne consegue. Allora, usiamo pure l’espressione Daesh invece che Isis, ma non perdiamo di vista che cosa Daesh propone: una vera e propria rivoluzione contro il globalismo occidentale. Che cos’è questo se non uno scontro di civiltà? Certo, si tratta della dichiarazione di guerra di una porzione del mondo islamico (è poi tanto piccola?). Ma, con l’apparato ideologico, finanziario e militare di cui dispone, ha tutti i presupposti per rivelarsi capace di attrarre, se ben diretta, porzioni sempre crescenti di popolazioni impoverite dalle politiche di rapina delle monarchie e dei sultanati del Golfo.

L’Occidente laico e tollerante non accetta l’idea dello scontro di civiltà, perché significherebbe negare la sua stessa essenza democratica e liberale. Per questo ci si sforza di dire che lo scontro di civiltà non esiste, perché il diritto alla diversità delle religioni e delle culture è l’elemento irrinunciabile della cultura occidentale. Tuttavia, non si può negare che, per effetto delle stesse intenzioni di chi lo proclama, di un vero e proprio conflitto unilaterale di civiltà si tratta, non semplicemente di religione. Del resto, questa è l’essenza stessa della Umma islamica delle origini.

La comunità dei musulmani, nella specifica qualificazione comunitaria, interpreta un mito e indica una meta. È soprattutto sinonimo di un’unità in divenire, una fede, un’aspirazione, un fine escatologico. Certamente, non è soltanto la comunità dei fedeli, secondo la concezione cristiana, che sottende fini estranei alla politica ed ha soltanto il senso di elevare la condizione umana, attraverso il dogma della presenza immanente di Dio in mezzo agli uomini. Per questo, nell’assoluta Babele dei linguaggi, siamo ancora in tempo dall’escludere, da tutta una serie di interventi di disinformazione, i detentori parziali di presunte verità: politici, imam indottrinati, preti cattolici, strateghi della comunicazione e strateghi militari. Questi raccontano ciascuno il proprio preteso pezzetto di verità, senza sapere che l’Islam è unità e totalità. Invero, secondo la concezione del tawhîd (unicità), che unifica costruzioni teologiche, giuridiche e politiche, l’Islam è religione, politica e molto di più.


di Guido Guidi