Repubblica-La Stampa: tutela del pluralismo

giovedì 17 marzo 2016


È in pieno svolgimento, ormai, la campagna elettorale per le amministrative di molte città. I sindaci di Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna, per esempio, hanno un rilievo sulla scena politica ed amministrativa di grande impatto. E la stampa italiana - radio, televisioni, quotidiani e settimanali - come si comporta? A non pochi osservatori è venuto un dubbio: la fusione editoriale tra “la Repubblica”, “La Stampa”, il “Secolo XIX”, 18 quotidiani locali (tra cui “il Tirreno”, “La Nuova Sardegna”, “Il Piccolo” di Trieste, “Il Mattino di Padova”, “La Provincia pavese”, ecc.) e due emittenti radiofoniche di portata nazionale non configura una concentrazione superiore al 20 per cento dell’intero settore? Vìola oppure no la legge Gasparri a 18 anni dalla sua entrata in vigore? Non ci risulta che siano state avanzate delle sollecitazioni all’Agcom (l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) in tal senso.

Sono lontani i tempi della guerra di Segrate che vide contrapposti Carlo De Benedetti con la Cir (Compagnie Industriali Riunite Spa) e Silvio Berlusconi con la Fininvest che rivendicavano accordi con la famiglia Formenton, erede delle quote Mondadori. Dopo controverse questioni giudiziarie (chiuse la settimana scorsa con il mancato ricorso di De Benedetti) si arrivò nel 1991 alla spartizione finale: “la Repubblica”, “l’Espresso” e i quotidiani locali Finegil a De Bendetti mentre a Berlusconi toccò “Panorama”, tutto il resto di Mondadori e un conguaglio di 365 milioni. Nel 1997 “l’Espresso” incorporò “la Repubblica” fondata da Eugenio Scalfari e da Carlo Caracciolo, imparentato con la famiglia Agnelli. Da allora la denominazione di “Gruppo Editoriale L’Espresso” con il presidente della Cir, l’ingegnere De Benedetti, che ha la residenza a Saint Moritz in Svizzera dove andava a sciare Giovanni Agnelli che ha lasciato la guida operativa al figlio Rodolfo.

L’altra bufera editoriale avvenne nel 1984 quando la Fiat venne accusata di aver violato la legge sulle concentrazioni. In possesso del 100 per cento de “La Stampa” attraverso la società Sadip partecipata al 32 per cento da Gemina, società che controllava la maggioranza assoluta delle azioni Rizzoli-Corriere della sera. Su quella vicenda potrebbe raccontare tanti particolari, meglio di chiunque altro, il nostro condirettore Paolo Pillitteri in merito alle sollecitazioni di Bettino Craxi su Giuliano Amato per avere chiarimenti da parte del Garante dell’editoria, professor Mario Sinopoli. Ad oggi sulla vicenda della fusione non c’è alcuna presa di posizione da parte del presidente dell’Agcom Angelo Marcello Cardani, nominato dall’allora premier Mario Monti.

Quando dopo tanti anni di chiacchiere a vuoto nel 2004/2005 vennero varate le normative in materia di editoria e di televisione (passaggio al digitale dall’analogico) uno dei punti più discussi fu l’introduzione del sistema integrato delle radiofrequenze. Il cosiddetto Sic (Sistema Integrato delle Comunicazioni) poneva un limite alle concentrazioni del mercato, nel senso che un operatore non poteva detenere frequenze che gli consentissero di superare il 20 per cento dei canali televisivi e radiofonici sia analogici che digitali.

Il pomo della discordia fu la definizione del mercato. Si dovevano sommare i ricavi derivanti dal canone tv della Rai, dalla pubblicità nazionale e locale, dalle televendite, dalle sponsorizzazioni e provvidenze pubbliche, dagli abbonamenti e dalle vendite dei quotidiani, dei periodici (inclusi i prodotti librari e fonografici commercializzati in allegato), dalle agenzie di stampa a carattere nazionale, dall’editoria elettronica (anche per tramite internet) e dalle opere cinematografiche. Tirate le somme si vede se un singolo operatore supera il 20 per cento. Troppo semplice e meccanismo troppo ampio per i critici della legge Gasparri secondo cui non era possibile considerare stampa, radio, tv e internet in un unico mercato. Non bisognava mescolare, secondo loro, categorie commerciali affini ma non analoghe.

In altri Paesi i meccanismi di controllo sulle concentrazioni sono più rigorosi e semplici. In Italia la vigilanza sulle concentrazioni spetta all’Agcom, l’Autorità che può aprire dossier ed emettere misure per ristabilire l’equilibrio in un settore così delicato per la vita democratica del Paese. Il pluralismo è un bene prezioso. A nessun soggetto è consentito detenere una posizione dominante.


di Sergio Menicucci