mercoledì 2 marzo 2016
Addirittura in fase di udienza preliminare, un giudice del Tribunale di Catania ha recentemente emesso sentenza di non luogo a procedere nel caso di un imputato di cosiddetto “concorso esterno”. Sia lode a quel (anzi, a quella) giudice. Grazie alla sua decisione, il nostrano “concorso esterno”, istituto di origine giurisprudenziale, si è visto finalmente privato di ogni implicazione normativa. Come, del resto, a proposito di Bruno Contrada, aveva già dettato una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 14 aprile del 2015.
Certa magistratura, che del “concorso esterno” aveva fatto uso e abuso (soprattutto a fini di custodia cautelare) per più di vent’anni, era parsa accogliere la decisione della Corte di Strasburgo con spirito litigioso e infantile. Quasi che diritti dell’uomo possano essere quelli di Abu Omar, un po’ meno quelli di Bruno Contrada e proprio mai quelli di Marcello Dell’Utri. Il che per più di vent’anni può ben dirsi un atteggiamento intellettuale non privo di una sua ricaduta istituzionale.
Da servi a padroni: cioè da servi della legge a padroni del diritto. Da Montesquieu a Zagrebelsky: cioè dal “diritto per regole” dello Stato liberale al “diritto per princìpi” dello Stato costituzionale contemporaneo. Fra “giudici” e “legge” tutto sembra diverso da quel che credevamo di sapere, di aver studiato, di dover insegnare. I casi di giurisprudenza creativa contra legem si accumulano: troppi per sentire ancora alle proprie spalle la cultura della Costituzione e della Costituente e per poter ancora prescindere da quel modello di giudice come “autonoma fonte di diritto”, che fu al centro negli anni Settanta di una intensa stagione di “magistratura democratica”.
Sulla materia prevalgono di solito le fiammate polemiche, ma talora vi si inseriscono pure ricognizioni di alto profilo. Particolarmente attenta ed ordinata quella proposta da Giuseppe Valditara (I giudici e la legge, con prefazione di D. Fisichella, Pagine, Roma, 2015), un romanista che ha il senso della storia, più volte parlamentare con il centrodestra, mai fazioso e sempre capace di “democrazia” nei confronti di argomenti diversi dai propri. Ad esempio, sono interessanti e suggestive le pagine dedicate al successore di Enrico De Nicola alla presidenza della Corte Costituzionale, Gaetano Azzariti. Un suo discorso del 29 dicembre 1958 avrebbe tracciato una strada anticipatrice di Magistratura Democratica nel tracciare una funzione della Corte costituzionale, rispetto al Parlamento legiferante, ben diversa da quella di De Nicola. Nasceva con Azzariti l’idea della “funzione legislativa costituente”, che dettava una sorta di superiorità della Corte rispetto al Parlamento e che avrebbe fornito lo strumento indispensabile per scardinare il “conservatorismo” dei giudici di Cassazione.
Problema dei problemi, nella nostra democrazia e nelle nostre cronache quotidiane, quello delle supplenze, o meglio delle invadenze, dei poteri di fatto su quelli di diritto. In diritto, secondo la nostra Costituzione, nessuno può autorizzare un giudice ordinario, selezionato solo per concorso di accertamento tecnico-professionale, a scegliere quale interpretazione di principio costituzionale, o quale diritto costituzionalmente garantito, debba adeguarsi a una legge espressione di sovranità popolare. Nei fatti non sempre è così. Valditara documenta assai bene dottrine e prassi di sconfinamento. Fra i suoi valori c’è il montesquieuiano primato della legge e la soggezione ad essa del giudice. La rigidità della Costituzione non gli sembra così perentoria: del resto, durante la Terza Repubblica francese, nonostante la rigidità del testo costituzionale, i giudici si dichiaravano incompetenti a giudicare della costituzionalità sostanziale delle leggi e ritenevano escluso dal principio di sovranità popolare l’attribuzione a qualsiasi Corte di una “funzione legislativa costituente”.
Come si vede, i riferimenti storici sono sempre calzanti. Il filo conduttore può dirsi di costituzionalismo comparato. Scritta e pensata in un modo, la nostra Costituzione da un quarto di secolo è cresciuta ed è stata interpretata in tutt’altro modo. Il libro di Valditara lo ricostruisce con passione ed intelligenza, sorvolando su questioni di rango minore (bicameralismo e regionalismo), in un lavoro che onora la prestigiosa collana (“Biblioteca di Storia e Politica”) che lo ospita. Meritoria, anche per Valditara e per la sua prospettiva di costituzionalismo comparato, la Corte di Strasburgo. Tocca ora al legislatore por mano alla correzione di ogni errata applicazione della legge penale, a prescindere dall’avere presentato ricorso alla Cedu. Si tratta di una garanzia che la Costituzione deve a ogni cittadino non meno che a se stessa. Senza protagonismi e narcisismi “togati”.
di Luigi Compagna