2005, un errore da non ripetere

giovedì 28 gennaio 2016


Sarà una resa dei conti tutta politica il referendum sul decreto legislativo di modifica della Costituzione dell’autunno prossimo. Al popolo italiano si chiederà ufficialmente se è favorevole o contrario alle modifiche costituzionali del decreto legislativo Boschi. Di fatto, sarà chiamato ad esprimere un voto pro o contro Matteo Renzi.

La schizofrenia dell’italico sistema partitico si ripete. Nel 2005 il mero calcolo politico del Pds portò alla bocciatura della riforma voluta da Silvio Berlusconi, che pur prevedeva la diminuzione di 193 parlamentari (oggi 315), l’introduzione del bicameralismo imperfetto, l’ordine del giorno prioritario del governo, la fiducia monocamerale, la riappropriazione di alcune funzioni dello Stato a danno delle regioni, un ruolo direttivo del Governo.

Chi non ricorda l’appello del Presidente Prodi contro la riforma “autoritaria” berlusconiana? Ancora oggi in Italia tutti, a sinistra come a destra, continuano a guardare all’oggi. Chissà se l’onorevole Pier Luigi Bersani non si morde le labbra all’idea che, se la riforma berlusconiana fosse passata, oggi ci sarebbe un’altra Italia e lui sarebbe il capo del governo italiano?

La schizofrenia si ripete. Il centrodestra che ha condiviso alcune linee guida della riforma Boschi, oggi la osteggia. Ma, l’interesse della comunità nazionale, che aspetta la riforma del bicameralismo dal 2 gennaio del 1948, cioè da subito, non merita una risposta? Un bicameralismo di tipo italiano al mondo non ce l’ha nessuno. Eccezion fatta per gli Stati Uniti, ma lì il Senato è un’altra cosa. L’ora di cambiarlo è passata, almeno dai tempi del governo Craxi dei primi anni 80.

Non si dica che i problemi istituzionali non contano, perché ciò di cui ha bisogno il Paese sono le riforme economiche. Un impianto istituzionale capace di decidere è la precondizione per l’approvazione delle riforme economiche che tutti auspicano. Il ddl Boschi ha un grosso limite. La caduta delle ideologie e il carattere individualista delle società occidentali richiede nuove forme d’identificazione, nuove forme di comunanza. Il modello liberale, vincente nella storia, va ripensato e arricchito di nuove forme di partecipazione.

Il successo elettorale conseguito dai partiti antisistema: Grillo, Podemos, Ciudadanos, Farange, Marine Le Pen e Salvini, ne è testimonianza. L’astensionismo italiano che viaggia sulle percentuali del 40 per cento, avrebbe meritato un diverso approfondimento da parte degli attuali riformatori. Invece niente, o quasi. In cambio, la preoccupazione, pur giusta, di favorire il “protagonismo dei territori”, ha trovato riscontro nella pura e semplice configurazione del Senato come luogo espressivo del ceto politico regionale, a totale trazione partitocratica. Deludente.

Le Regioni, sono state disegnante nel 800 per meri fini statistici e oggi sono quasi sempre inespressive delle comunità locali. Le autonomie locali avrebbero meritato molto di più, perché l’Italia è la terra dei paesi, dei villaggi, dei borghi montani, dei porti marini, delle città, dei comuni, delle valli. In Francia il Senato, anche lì, è l’espressione dei territori, ma è eletto da 150mila grandi elettori: i sindaci, i consiglieri comunali, provinciali, regionali, i deputati.

Già dal 1995 la Francia ha percepito la contestazione galoppante dei movimenti antisistema. Per questo ha attivato una serie di istituti cosiddetti di “controdemocrazia” (Rosanvallon), in grado di condizionare la gestione quotidiana dell’insieme degli apparati pubblici. Anche l’Italia avrebbe bisogno di recuperare forme di democrazia diverse e ulteriori, in aggiunta alla manifestazione una tantum del voto. Si pensi agli istituti francesi del débat public, della enquête public, del defenseur des droits. Con questi procedimenti si potrebbero recuperare tanti dissensi e si potrebbe tentare di attenuare quel diffuso senso d’impotenza che è la principale causa della rottura del rapporto tra governo e popolo. Invece niente. Per questo il ddl Boschi è insufficiente.

Insufficiente, ma non da buttare. Non faccia il centrodestra l’errore che Bersani ha fatto nel 2005. La democrazia è alternanza. Oggi a me domani a te.


di Guido Guidi