martedì 19 gennaio 2016
La notizia risale a qualche giorno fa, è vero, ma non è mai fuori tempo riflettere, sorridere con amarezza (poi però ribellarsi) sugli aspetti grotteschi che la deriva giudiziaria ci regala con sempre più puntuale scadenza. Tanto che parlare di aberrazioni giudiziarie risulta diminutivo. La settimana scorsa la Procura di Bari ha pensato bene di produrre un filmato trasmesso dai mezzi di informazione, sempre su sua “autorizzazione” relativo alle indagini condotte a carico del direttore amministrativo del Teatro Petruzzelli ed altri per un’inchiesta sul pagamento di “tangenti”. Immagini ed intercettazioni raccolte in occasione delle indagini in corso e montate ad arte, con ritmo e commento musicale in una sorta di cortometraggio, insomma. L’Unione Camere Penali ha causticamente protestato definendo “il montaggio del filmato veramente professionale, oltre che stupefacente per gli effetti speciali messi in campo, un deciso passo in avanti rispetto all’ormai celebre video del furgone dell’imputato Bossetti”.
Un passo avanti, dunque, ed una sapiente messa a punto del collaudato copione da processo mediatico su cui si saldano sete di ribalta e vocazione eticizzante di alcune Procure e il populismo penale cavalcato da un’informazione genuflessa al ritorno di audience ed alle stesse Procure. Ed è evidente che, come l’Unione Camere Penali ha denunciato, il filmato e la sua diffusione rappresentano l’ennesima violazione dell’articolo 114 c.p.p. che vieta non solo la pubblicazione a mezzo stampa di atti e materiale coperti dal segreto ma anche di quelli non più coperti dal segreto fino alla conclusione delle indagini preliminari o fino alla conclusione dell’udienza preliminare. Sì, perché ha diffuso atti di indagine non pubblicabili neppure parzialmente fino alla chiusura delle indagini preliminari e lo ha fatto prima che la difesa ne venisse a conoscenza. Quante storie, in fondo su quegli atti è solo fondata la richiesta di arresto e la relativa ordinanza di custodia cautelare. E questo articolo 114 del c.p.p., poi, un fastidioso orpello del codice processuale messo lì a tutela, che assurdità, delle garanzie degli indagati e degli imputati, del loro diritto al giusto processo. Davvero minuzie di fronte al dato rivoluzionario che davanti a tutti i possibili indagati del paese, a tutti i telespettatori e a tutti i protagonisti del l’attività giurisdizionale si è spalancata una nuova frontiera. Quella della video-giustizia fai- da-te che non rinuncia, anzi si assume con visibile responsabilità il ruolo di portatrice di stigma morale. Una nuova ed effervescente zona borderline della giurisdizione che fa capo alle Procure della Repubblica. Finora i media sono stati il principale impresario di quei processi e di quella gogna virtuale (dagli effetti reali devastanti ed il più delle volte non risarcibili) che è garanzia di ascolti e preferenziale occasione di visibilità per i Pm. Bene, è chiaro che la magistratura inquirente si trova ad un esaltante punto di non ritorno dimostrando di essere ormai matura per compiere il grande salto e lanciarsi nella produzione di docu-film, docu-fiction (la prova sceneggiatura è stata superata con perizia), filmati e perché no? In futuro solcare le vaste acque dei talk-show, dei reality e dei talent, del telequiz, del tele-teatro e della divulgazione culturale, dei serial, delle soap opera e delle sit-com, lasciandosi infine aperta la possibilità di approdare alle remunerative televendite.
C’è un motivo, uno solo per cui non sia arrivato per gli uffici delle Procure il momento di conciliare la rutilante ricerca di consacrare mediaticamente il proprio ruolo etico alle esigenze di bilancio dell’affannato mondo dell’informazione? Basta alleviare le casse dei circuiti televisivi, pubblici e privati, alleggerirli di un po’ di lavoro tendendo loro una manina ‘statale’ oltre a quella che puntualmente si allunga dagli apparati investigativi per consegnare materiale o documenti delle indagini e nominativi degli indagati a quelle dei cronisti giudiziari. Raggiungere la definitiva quadra della saldatura di interessi, il Sacro Graal della reciproca fidelizzazione per il circo mediatico-giudiziario è dunque possibile in questo mondo di contaminazioni multilivello. Certo, ogni autentico rinnovamento esige aggiornamenti e non c’è dubbio che le esigenze securitarie, legalitarie ed efficientiste della magistratura imporranno al futuro apparato della “nuova giustizia visuale” una reale svolta. Contro la paralisi della giurisdizione le Procure saranno presto chiamate a creare corsi per registi, sceneggiatori e assistenti alla regia, un curato registro dei cortometraggi e tutto ciò che occorra per assicurare in grande spolvero l’impennata della gogna mediatica che dalla fine del 2014 ad oggi ha fortunatamente potuto lucrare sui due procedimenti giudiziari “più delicati” di Brega Massone e di Bossetti. Due prodotti che in modo diverso hanno fatto scuola ma ormai quasi dilettanteschi al cospetto del nuovo colossal voluto dalla Procura barese. E con un briciolo di zelo si intensificherà anche il ritmo di produzione annua. Ca va sans dire che questa prospettiva visionaria andrà anche a beneficio del giudice, affinché con olimpica serenità, possa poi emettere le sue sentenze “frigido e pacatoque animo… sine spe e sine metu”.
Nell’attesa, ci si accontenti di qualche timido tentativo, qualche ripresina ‘furtiva’, per ora ancora realizzata da operatori televisivi, come quella, solo l’ultima in ordine temporale, con cui il Tg di La7 la settimana scorsa ha aperto dando la notizia della richiesta da parte dei carabinieri delle misure cautelari nei confronti di due politici del Movimento Cinque Stelle, con telecamere puntate a lungo sui nomi degli indagati di cui si chiedeva la misura. Sorvolando sulla puntualità con cui la signora Nemesi si sa abbattendo sul forcaiolismo pentastellato e sulla sempre attuale saggezza di Pietro Nenni a proposito di epurazioni tra puri e più puri, si tratta dell’ennesima violazione conclamata sia da parte dei giornalisti sia di chi ha consegnato le carte, del divieto di pubblicazione di atti coperti da segreto istruttorio.
Nessun ostacolo, sembra di capire, intralcerà il radioso futuro verso cui è diretta la costellazione degli illeciti e su cui nessuna Procura da il minimo segnale di vuole intervenire. L’alibi è che i provvedimenti previsti dall’articolo 684 del Codice penale sono reati a sanzione minima estinguibili con un’ammenda e che si dovrebbero aprire fascicoli ad ogni lettura di giornale. Eppure l’altro “fastidiosissimo” articolo del c.p.p., il 115, di fronte a violazioni da parte dei giornalisti del divieto previsto nell’articolo 114 del c.p.p. impone alla Procura di aprirli i fascicoli e di informare l’Ordine dei giornalisti. Qualcuno, l’Ucpi, sarebbe il soggetto più adatto, si muoverà per dare almeno un segnale con una denuncia, un esposto, come quello presentato alla Procura di Roma dalla Camera penale capitolina per un caso analogo legato al procedimento di “Mafia Capitale”, ad un’altra Procura pugliese per denunciare la “simpatica” violazione? Ci sarà una Procura disposta a segnalare la Procura di Bari all’organo di disciplina, il Csm come l’articolo 115 del c.p.p. imporrebbe nel momento in cui il divieto di pubblicazione è commesso da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici ovvero da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato? Difficile.
Nell’attesa di conoscere se il compito di dirigere il prossimo documentario a missione etica sarà affidato a Tornatore, Sorrentino o a Garrone, sopravvive la certezza che nulla cambierà all’ombra degli articoli del codice penale e di procedura penale. A completa tutela della licenza delle Procure di pavoneggiarsi ed autoincensarsi sventagliando mannaie moralizzatrici a tutto video. E senza avere tra i piedi quelle irritanti garanzie processuali che la Carta costituzionale, il nostro codice e la giurisprudenza europea prevedono per indagati e imputati, in tutte le fasi del procedimento.
di Barbara Alessandrini