giovedì 14 gennaio 2016
Ti levi al mattino, davanti alla modesta colazione scorri i titoli dei quotidiani, e sei colta dal senso dell’apocalisse: il Partito Democratico “divorzia, si divide” sul tema delle unioni civili; nel Movimento Cinque Stelle c’è “il caos”, l’espulsione del sindaco in gonnella di Quarto “spacca” il movimento; c’è “guerra al Senato: in aula tutti contro tutti”, e sul piano internazionale la sfida Renzi-Merkel è un “gioco pericoloso”... Ah, sì, è vero: tira aria di competizione elettorale.
Tutti i giornali, dal più venduto a quello di zona o di nicchia, hanno titoli che echeggiano clangori di battaglia, sicché non ti meravigli quando perfino sul moderato “Il Tempo”, il secondo quotidiano di Roma, trovi un titolo che riguarda le ipotizzate Olimpiadi a Roma: “Il referendum spacca i radicali”.
D’accordo, il giornalista che stende il testo non sempre è responsabile del titolo che verrà poi apposto al suo pezzo, questo si sa: esistono i titolisti, che hanno l’incarico di presentare ogni articolo in modo da attrarre l’attenzione, ed è ormai da tutti ammesso che l’homo novus, il nostro contemporaneo, ha bisogno di emozioni forti e di notizie shock, per indursi alla fatica della lettura.
Viene quindi spontanea una certa indulgenza per chi firma questo articolo, Dimitri Buffa, che tanto tiene all’esclusività di ciò che scrive. Egli infatti, pochi giorni fa, se la prese col Tg5 accusandolo nientemeno che di aver “rubato” una sua informazione, perché aveva presentato come prima notizia serale il dossier sulla giustizia in Italia, che l’avvocato Deborah Cianfanelli, militante radicale fin dalla prima giovinezza, aveva messo a disposizione del Partito Radicale. Dossier che peraltro era già stato reso noto da altri giornali, dalla stessa radicale Cianfanelli su “L’Opinione”, e - non ultima - dalla giornalista Sandra Figliuolo sul “Giornale di Sicilia”.
Accredito dunque Dimitri Buffa della massima buona fede e – poiché dal suo articolo risulta che egli ignora come realmente stanno le cose in casa radicale – mi industrierò di fornirgli informazioni precise di prima mano, visto che milito nel Partito Radicale da quasi mezzo secolo, e ne ho sottoscritto la tessera, anno dopo anno, dai primi anni settanta ad oggi. Scrive Buffa: “Italiani o transnazionali?”. Il Partito Radicale è nato nel 1955, ma non è mai stato un partito “italiano”: la sua sigla era P.R. ed il suo logo all’inizio era la testa di donna col berretto frigio, simbolo della Libertà nella rivoluzione francese (P.R.I. è il Partito Repubblicano italiano, il cui simbolo è la foglia di edera).
Il Partito Radicale ha fatto politica internazionale da sempre: sono degli anni sessanta le prime marce antimilitariste di Pannella e dei suoi, per i disarmo unilaterale e per l’obiezione di coscienza al servizio militare. Fin dall’inizio il Partito Radicale volle essere la prima internazionale ad iscrizione diretta aperta a tutti i cittadini del mondo: fin dall’inizio fu un soggetto politico di concezione inedita, diversa, “altra” da tutti i soliti partiti.
Nella concezione di Marco Pannella, “l’ideale sarebbe disporre di una organizzazione politica capace di consentire in decine di parlamenti – nello stesso giorno, alla stessa ora, con gli stessi testi legislativi, con lotte nonviolente di massa convergenti nei diversi paesi – la discussione e l’approvazione di leggi fondamentali per la vita del pianeta e per la libertà e i diritti di tutti”.
A questo non è ancora stato possibile arrivare, ma oggi il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito – definizione nata con deliberazione del Consiglio Federale (Trieste, gennaio 1988) poi confermata dal successivo Congresso del Partito, è riconosciuto quale organizzazione non governativa con status consultivo generale di prima categoria, presso l’Ecosoc (Economic and Social Council) dell’Onu. La sua definizione ufficiale è “Associazione di cittadini, parlamentari e membri di governo di differenti nazionalità che intendono utilizzare mezzi nonviolenti per creare un corpo effettivo di legge internazionale in merito agli individui e l’affermazione della democrazia e della libertà nel mondo”.
Non è il sogno di Pannella che si citava prima, ma ci si avvicina molto.
Sempre per decisione congressuale, dal 1989 il Partito Radicale - in quanto tale e col proprio simbolo - ha sospeso la partecipazione alle campagne elettorali. Militanti radicali si sono presentati con altri simboli, prevalentemente come Lista Pannella, Lista Pannella Bonino, Lista Bonino.
Sono soggetti costituenti il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito le varie organizzazioni che compongono la cosiddetta “galassia radicale”: l’Associazione Luca Coscioni, Nessuno tocchi Caino, Non c’è Pace senza Giustizia, l’Associazione Radicale Certi Diritti, il Movimento Radicali Italiani e l’Associazione politica Lista Marco Pannella. (Spero che Buffa non mi accusi di “inconfessabili invidie” se ho dimenticato qualche associazione minore).
Ci sarebbe molto altro da dire, sulle innumerevoli lotte politiche combattute, ed alcune anche clamorosamente vinte, dal Partito Radicale e da ciascuna delle Associazioni che lo costituiscono. Ci sarebbe molto da dire sull’iniziativa in corso con cui si tenta di convincere lo Stato Italiano a presentare all’Onu il progetto che gli mettiamo a disposizione, ideato da Marco Pannella, per la comune transizione dell’Occidente e del mondo Arabo verso la democrazia e lo stato di diritto e per l’affermazione del diritto dei popoli alla conoscenza: ma non è questo l’obiettivo che mi sono posta in questa occasione.
Oggi il mio obiettivo è di far capire a chi evidentemente lo ignora che non c’è una contrapposizione fra “Radicali Italiani” e “Partito Radicale” come se si trattasse di due partiti diversi che si azzuffano sull’ipotesi di un referendum locale: si tratta invece del Partito Radicale e di una sua Associazione, costituitasi come tale.
C’è qualche divergenza interpretativa degli Statuti, questo sì: infatti il Partito Radicale non si presenta come tale alle elezioni, e lo Statuto dell’Associazione costituente “Radicali Italiani” pure prevede la non presentazione alle competizioni elettorali, mentre i dirigenti di Radicali Italiani ritengono che sia opportuno rilanciare l’iniziativa politica partendo dai Consigli comunali.
Se lo faranno, dovranno discutere la norma statutaria e deliberare in Congresso la modifica: ne avranno il tempo, prima delle prossime consultazioni amministrative? E se varieranno la norma statutaria, potranno continuare a dirsi Associazione Radicale, in contrasto con lo Statuto radicale? È un bel quesito etico.
Ma è affar loro, dei dirigenti del Movimento Radicali Italiani, non certo di una semplice militante del Partito Radicale quale io sono.
di Laura Arconti